Architettura come scienza applicata
/Lo scorso 29 novembre, in occasione dell’evento Gestaltart tra Arte, terapia e neuroscienze, organizzato dal Mart di Rovereto e l’associazione UrLA , ho parlato dei rapporto che lega architettura, neuroscienze e psicologia. Il contesto tematico della conferenza non poteva essere più appropriato, poiché è nella Gestalt che affondano le radici di quello che si sta definendo come neo-umanesimo, cioè del nuovo contesto culturale che sottende il paradigma del progetto. La teoria percettiva della Gestalt comprese e spiegò, a suo tempo, come l’esperienza della realtà sia frutto di una interpretazione individuale, e che l’oggettività dei fenomeni poco contano ai fini di una valutazione qualitativa dello spazio. La teoria del campo di Kurt Lewin , sempre di matrice gestaltica, estese l’attenzione dai processi percettivi a quelli sociali e di gruppo. e spiegò come anche i nostri comportamenti siano funzione degli spazi di vita oltre che delle persone che ci abitano.
Purtroppo al movimento mancò una solida evidenza scientifica che spiegasse i fenomeni percettivi e comportamentali rilevati, ma esso ha il merito di aver impostato un percorso di indagine nuovo, cioè un’area interdisciplinare applicativa che avvalorasse i risultati in ambito puramente scientifico, oltre quello di stimolare nuove indagini.
La presa di coscienza dell’interazione uomo-ambiente e la successiva disponibilità di evidenza scientifica nel nuovo millennio ha elevato la (neuro) architettura a rango di scienza applicata. Una pratica che può ritenersi terapeutica, o meglio ancora , salutogenica, perché non cura il malessere generato dagli spazi insalubri, ma lo previene creando i presupposti di un benessere inteso in senso lato. L’evidenza scientifica di riferimento riguarda in primis le scienze cognitive, la neurofisiologia e la psicologia, ma anche discipline apparentemente distanti, quali la biologia, la genetica , la matematica, la fisica .
Wilson, biologo, ha introdotto la biofilia, e quindi l’ ipotesi biofilica che, se da una parte spiega l’origine del principio di bello, buono e giusto, dall’altra diventa un riferimento per ulteriori indagini in campo biologico ed epigenetico.
L’approccio più matematico è rappresentato dalla “sintassi spaziale” (Space Syntax), la quale è una metodologia di analisi che traduce i comportamenti sociali e individuali in grafi e matrici, ed è capace di esprimere con dati numerici gli aspetti qualitativi dello spazio, cioè di prevedere la sua capacità di attrarre o a respingere le persone a seconda degli obiettivi fissati. L’anticipazione di scenari futuri e il controllo di eventuali fenomeni perturbativi o di semplice cambiamento diventano uno strumento molto utile per assicurare il successo degli artefatti, qualunque sia la loro scala di intervento.
Un’altra chiave di lettura di tipo numerico riguarda i frattali, cioè gli enti geometrici invarianti che, ripetendosi in scale diverse, aiutano a decodificare le forme che ci circondano e distinguono le forme semplici da quelle complesse. L’analisi dei frattali aiutano a decifrare i messaggi subliminali che le geometrie dell’ambiente trasmettono al nostro inconscio, e colgono il delicato equilibrio tra la complessità e la semplicità, cioè quella tensione che esiste tra lo stimolo fastidioso e stancante e quello noioso e piatto.
Ma la scienza del design non si ferma qui. Altre importante interazioni e contaminazioni, oltre a quelle scientifiche, supportano la teoria progettuale in un processo aperto e infinito. La scienza del design esiste, ( possiamo finalmente dare una risposta positiva alla domanda di Gropius del 1947 (1)), ma non sarà mai esatta, perché si evolve secondo una curva asintotica, la quale tende a dominare la realtà complessa e dinamica, senza però mai riuscirci completamente.
Il Krebs Cycle of Creativity rappresentato in basso riesce, meglio delle parole, ad esprimere questa forte tensione creativa che lega insieme non solo l’architettura ala scienza, ma anche all’arte e la tecnologia (ingegneria), andando oltre il rapporto a due a cui siamo già abituati. Il rapporto tra arte e design è facilmente intuibile dal momento che le due discipline si sono distinte dopo essere nate come un tutt’uno. La stessa storia di emancipazione tocca successivamente alla tecnologia, quando la rivoluzione industriale separa competenze (arte e tecnica) che una volta coincidevano. Gli ultimi decenni ci rendono familiare anche la stretta collaborazione tra arte e tecnologia, tanto che adesso, più che con quadri e sculture, l’arte trova la sua più originale espressione nelle installazioni artistiche interattive, che lasciano invariato lo scopo di analizzare, scomporre ed evidenziare gli aspetti più misteriosi del nostro vivere.
In questo rapporto complesso a quattro si viene a creare una doppia dicotomia e tensione tra ciò che vuole aderire ed esprimere la natura, ed i suoi principi eterni e fissi, e ciò che invece è un continuo evolversi della cultura e del comportamento, che costantemente ridefinisce la necessità e l’utilità dei dati acquisiti (l’artificiale). Banalmente, se questo processo funzionasse in modo perfetto e le giuste interazioni avvenissero con i giusti tempismi, il prodotto creativo sarebbe perfetto e non ci sarebbe differenza tra artificiale e naturale.
Citazione di Neri Oxman, ex modella, designer e ricercatrice sulla materia immediata presso il MIT di Boston, nonché autrice del Krebs Cycle of Creativity..
Nota (1) . Walter Gropis, Is There a Science of Design? Auckland University College, School of Architecture, 1954