Nuovi modelli spaziali per il new normal
/Uno spazio che comunica adeguatamente con l’utente e gli suggerisce scelte convenienti, comportamenti corretti nel minore tempo possibile ha un valore aggiunto. Si sa, il tempo è denaro, e se l’ambiente costruito lascia adito a titubanze e incertezze può remare contro l’utenza, procurandogli ansia e stress
La fluidità delle tipologie di spazi di cui tanto si parla attualmente, cioè la necessità di creare una sfumatura che possa ridurre le differenze che fino ad ora hanno distinto l’ufficio dalla casa, può lasciare esterrefatti, perché si scardinano le fondamenta del vecchio paradigma del progetto, che vedeva come prioritario caratterizzare un ambiente per renderlo adeguato alla funzione specifica da accogliere. Ma ormai è evidente che le nuove necessità richiedono residenze che possano offrire spazi lavorativi e uffici che esprimano una forte domesticità.
“Una buona ergonomia equivale ad una buona economia” è una citazione di degli anni 90’ in cui la principale preoccupazione in ergonomia era ridurre i rischi di errore (a volte fatale) e creare maggiore sicurezza. La frase era legata specialmente al design di settori specifici di luoghi di lavoro, come le torri di controllo degli aeroporti, i centri operativi delle chiamate di emergenza. Oggi però l’ergonomia non mira più esclusivamente all’incolumità delle persone e a prevenire l’errore quando questo risulta fatale, ma diventa uno strumento atto a garantire maggiore benessere (e una aumentata e migliorata efficienza). Il modello di intervento deve fare riferimento all’ecologia comportamentale e quindi alla costruzione di una adeguata architettura delle scelte. L’ecologia comportamentale è una disciplina che studia le basi evolutive del comportamento animale rispetto alle pressioni ecologiche. Esso si può adattare in ambito costruito, piuttosto che quello biologico, e cercare di preservare e assecondare gli equilibri psicofisici degli individui, cioè quei tratti comportamentali e psicologici che assicurano il successo e l’adattabilità alle generazioni attuali e future.
Le pressioni ecologiche che riguardano l’attuale dibattito culturale, determinano i nuovi tratti adattivi da sollecitare e quelli disadattivi da eliminare. Il tempo è l’elemento chiave di questa trasformazione. Non ne abbiamo mai abbastanza ma è anche evidente che ne sprechiamo in gran parte, e siamo messi di fronte ad una frustante incongruenza.
Una corretta economia delle decisioni può essere la risposta giusta, e non stiamo parlando delle decisioni che ci pongono di fronte ad una alternativa tra vita e morte o di fronte alla possibilità di immediati ed enormi perdite economiche, ma quelle decisioni di tipo olistico, che caratterizzano la quotidianità di ogni individuo, nei suoi aspetti meno critici ma comunque determinanti a creare esperienze positive.
Se analizziamo l’esperienza quotidiana di un “colletto bianco” che lavora le sue sette/otto ore al giorno ne viene fuori che il design dell’ambiente incasella in posture, atteggiamenti e abitudini che non appartengono all’essere umano. E se partiamo dal vecchio concetto di comfort, notiamo come nel tempo il termine si è evoluto al punto da contraddire se stesso. L’etimo della parola, in italiano, comprende il concetto di conforto, supporto, soccorso, ma in inglese il suo significato si riferisce al concetto di agio, comodità, fino ad indentificarsi esclusivamente con le comodità materiali, con il complesso di impianti e accessori occorrenti a rendere agevole e organizzata la vita quotidiana.
Il remote control, per esempio, ci indulge a rimanere seduti più del previsto e ci consente di controllare a distanza l’apertura di una finestra o di una tenda, senza bisogno di alzarci, di impiegare le braccia, e, a volte, senza nemmeno ingaggiare il movimento rotante delle dita (come accade per certi rubinetti che rispondono ad un vago gesto della mano).
Si tratta di tanti elementi di arredo o di interfacce che più che offrire relax ci invitano alla inattività. Essi ci danno l’illusione di avere un totale controllo sullo spazio, ma in realtà è lo spazio e le sue tecnologie che controllano noi, influenzano le nostre decisioni ed il nostro comportamento, fino a trasformarci in individui sedentari, paradossalmente sempre più affaticati fisicamente e mentalmente.
Nasce la necessità ed il desiderio di seguire programmi di fitness con la speranza che un paio di sessioni alla settimana possano controbilanciare i danni procurati da una inerzia di 8 o 9 ore al giorno. Anche quando si trova il tempo di andare in palestra ci si rende conto che gli effetti inesorabili del comportamento sedentario rimangono lì e continuano a rompere gli equilibri fisici e mentali.
Ma come proporre un profondo cambiamento senza agire drasticamente e sovraccaricare l’utente del carico emotivo e cognitivo? Come assicurare il successo di nuove e stravolgenti proposte?
Herbert Simon, il Premio Nobel per l'economia per le sue pionieristiche ricerche sul processo decisionale nelle organizzazioni economiche, ha affermato che la razionalità di un individuo durante il processo decisionale è limitata, anche se non pensiamo che lo sia. E questo non tanto per le sue limitazioni cognitive, ma dalla quantità finita di tempo di cui l’uomo dispone per prendere una decisione. Kahneman, dal suo canto, ci spiega come il pensiero veloce ed intuitivo (sistema 1) interferisce nella decisione rispetto al pensiero logico ma più lento (sistema 2), specialmente se l’ambiente riesce a creare la giusta suggestione ed emozione.
Lo spazio quindi può essere un ottimo strumento per il cambiamento comportamentale e culturale se questo è desiderato, ma per innescare un condizionamento positivo deve valorizzare il fattore umano invece di sfruttarlo, deve sfruttare modelli di intervento che non degenerino nella manipolazione, ma creino un contesto di libera scelta. Gli ambienti che riescono a mettere in pratica questa delicata architettura delle scelte, senza cadere nella trappola di interventi paternalistici e prescrittivi, hanno più probabilità di avere successo come strumenti del cambiamento.