La Bellezza : un concetto, un valore o solo un'area del cervello che si attiva?
/“Beauty is nothing but the beginning of terror” scriveva Rainer Maria Rilke agli albori dello scorso secolo, sovvertendo la cultura della bellezza neoclassica e riportando con vigore la cultura del sublime romantico. Ma la domanda è: la bellezza è un concetto che solo la poesia può tentare di spiegare? Forse il cosa sia bello resterà un mistero, ma cosa accade quando lo vediamo non lo è più.
La neurobiologia non ha alcun interesse a capire quali siano i fattori che determinano e scatenano la sensazione del bello e del piacere nell'uomo, piuttosto essa tende esclusivamente a comprendere cosa succede nel nostro sistema nervoso quando si esperisce il bello. Semir Zeki, ( nella sua intervista per 'Why Are We Here?'), sostiene questa posizione e prende le distanze da ogni confronto diretto sul tema con il resto del mondo intellettuale, in particolare quello più umanista, il quale, al contrario, teme moltissimo la contraddizione in cui cadrebbe il proprio percorso ideologico di fronte alle inconfutabili prove scientifiche.
Gli architetti, invece, darebbero chissà cosa per conoscere la magia nascosta che rende alcuni spazi molto più piacevoli di altri: si risolverebbero gran parte dei problemi legati all'arbitrarietà del design , sia esso urbano, architettonico o del prodotto, e finalmente si avrebbe un riferimento teorico immutabile, oggettivo. e stabilizzante.
Il nostro cervello è sempre alla ricerca di riferimenti stabilizzanti e tutti i processi sensoriali non sono altro che espressione di questa tendenza: la realtà visiva che percepiamo non è altro che l'interpretazione soggettiva delle onde elettromagnetiche e delle costruzioni prospettiche delle forme, le quali tendono a eliminare le contraddizioni e le incertezze . Per esempio noi percepiamo sempre le foglie come verdi, cioè come esse si presentano in pieno giorno, nonostante queste abbiano un aspetto diverso in altri momenti della giornata, cioè quando riflettono principalmente il rosso del crepscolo o dell'alba. Il processo percettivo è uno strumento di sopravvivenza e pertanto tende a fornire gli strumenti per riconoscere la realtà nella misura in cui noi ne abbiamo bisogno. Quando la stessa realtà ci restituisce forme, colori, e suoni nella modalità che ritieniamo avere senso, noi proviamo piacere , e tale sensazione è strettamente legata alla credibilità ancor prima che alla semplicità, e produce un senso di soddisfazione nel cervello.
Zeki ci tiene a precisare che non esistono delimitate aree del cervello deputate alla percezione del bello ma si può asserire con certezza che esista una parte del cervello che si attiva quando proviamo la sensazione del bello. Questa zona è la corteccia orbito frontale media, ed è la stessa che si attiva quando reagiamo positivamente per la consegna di un premio, quando ascoltiamo bella musica, quando siamo coinvolti indirettamente o direttamente in un'azione che consideriamo giusta e/o buona (Bello Morale di kantiana memoria). E' una sensazione che ci pone in relazione con il mondo e può variare in intensità, ma mai al punto di destabilizzarci.
Quando si alza "il volume" del piacere e si arriva ad un punto destabilizzante, la bellezza svanisce per lasciare il posto a qualcosa di diverso, che è il sublime. Il sublime viene definito come la bellezza che si coglie nell'orrore, ciò che di bello è racchiuso nel terrificante. Si tratta della sensazione suscitata dalla natura nelle sue manifestazioni più grandiose e potenti, come la tempesta o anche la vista di una alta cima. E' questo un punto di disequilibrio in cui si spegne il senso del sè in relazione con il mondo e la propria parte autoreferenziale per essere travolti dal senso di infinito e di impotenza., che trascende i sensi. Inaspettatamente, quando si prova il sublime, l'area cerebrale che si attiva - il giro frontale medio inferiore - non è la stessa di quella coinvolta quando esperiamo il bello. Si tratta di una zona implicata in forti esperienze emozionali e si registra come pura costruzione mentale.
Possiamo distinguere in architettura esempi di ricerca del sublime ed esempi di ricerca del bello ? E quali potrebbero essere le caratteristiche ambientali che distinguono una categoria dall'altra?
Stando a quanto detto finora dovremmo asserire che una architettura è bella quando soddisfa il nostro cervello, non stressa ed offre una ergonomia cognitiva oltre che fisica. La linea di demarcazione che separa il sublime dal bello è molto sottile ed è anche strettamente correlata al tempo e alla evoluzione culturale. Quanto tempo possiamo risiedere nella casa Battlò senza sentirne il peso dei continui e ripetuti stimoli sensoriali ? L'opera di Gaudì è una delle meravigliose mete turistiche in Barcellona, ma sono abbastanza certa che nessuno di noi sarebbe proprio lieto di spendere la propria vita in spazi come questi.
Una "architettura bella" invece sfida i cambiamenti culturali e rimane piacevole da vivere sempre e per le diverse tipologie di utenza. E' quella che ci vuole nei luoghi dove trascorriamo gran parte delle nostre giornate: dove studiamo, dove lavoriamo e dove spendiamo il tempo con la nostra famiglia. Essa deve essere capace di ricaricarci piuttosto che sovraeccitarci.
Lasciamo, dunque, che siano i musei, le chiese, gli spazi ludici ad offrire effetti speciali ed esperienze positivamente sovra-stimolanti. Lasciamo che siano le opere d’arte a sorprenderci con le loro forme.
Nell’ambito degli spazi quotidiani, invece, ben venga la riabilitazione del maestoso, attraverso l'uso seducente dei linguaggi classici (volte ed arcate), così come anche la provocazione delle sperimentazioni innovative, perché tali linguaggi provocatori facilitano il reset degli stati mentali negativi e predispongono alla creatività, ricordando però che ogni soluzione vada proposta nel luogo e nel momento giusto.