Psicoacustica: un nuovo strumento per arricchire l'esperienza di un luogo
/Questo articolo vuole attirare l’attenzione e creare consapevolezza su una disciplina ancora non presa molto in considerazione nella progettazione tradizionale: l'architettura ”aurale”. Questo approccio considera il suono un fattore fondamentale nella progettazione di ambienti di qualità e non va confuso con l'ingegneria acustica, anche se questa ne fa parte .
Qui si parla di psicoacustica piuttosto che di acustica . Quest’ultima si concentra sulla trasmissione del suono fino all'orecchio, mentre la psicoacustica si interessa al modo in cui noi diamo attenzione ai diversi suoni e come noi, a livello istintivo, creiamo delle gerarchie degli stessi, attribuendo significati di vario genere. Purtroppo non siamo sempre consapevoli del significato che possono avere i paesaggi uditivi nella nostra esperienza di vita quotidiana. Il nostro mondo, e specialmente il modo in cui noi lo progettiamo, tende a essere interpretato e giudicato prevalentemente nel suo l'aspetto visivo, mentre gli spazi interni, e anche gli edifici, reagiscono ai nostri suoni e ne inviano di altri alle nostre orecchie, restituendoci una realtà che comprende quella visiva ma che si arricchisce e va ben oltre (1).
Mentre è più facile parlare di geometrie, di colori e di illuminazione, parlare dei suoni ci coglie impreparati. Già collaudato e ormai diffuso è l’impegno e lo sforzo richiesto per la riduzione dell’inquinamento acustico, attraverso un tipo di approccio che è postumo alla realizzazione di uno spazio, e che tende ad eliminare gli elementi di disturbo quali i rumori o le interferenze per volumi troppo alti, ma con il termine aurale stiamo ad indicare un’altra competenza.
I musicisti sanno come insonorizzare una camera, usano un vocabolario molto più ricco del progettista architettonico, e quando si tratta di affrontare problemi di diffusione della musica, conoscono bene qual è il requisito di una stanza destinata a riprodurre musica rock oppure musica classica o ancora altro genere musicale. Essi sono molto sensibili agli infiniti messaggi che ci sono dentro i suoni musicali, così strettamente legati all’ambiente in cui vengono riprodotti.
C'è un’interessante TED talk di David Byrne, dal titolo "How architecture helped music evolve" che spiega molto bene l’importanza che le caratteristiche spaziali hanno quando una particolare musica viene riprodotta oppure scritta. L’ex Talking Heads ci fa ascoltare il canto di una tribù africana evidenziandone la bellezza e la naturalezza, la quale può svanire immediatamente se solo si immagina di ascoltare la stessa performance in un ambiente chiuso, come un teatro.
Il musicista in genere non è un intenditore di psicologia uditiva, sicuramente ha una sensibilità maggiore per approcciarsi al design sonoro di un ambiente, però lo fa il rispetto alla musica e alle note suonate. Quali sono le competenze allora richieste per una progettazione aurale?
Le prime discussioni intorno al problema relativo alla tipologia del suono vengono affrontate grazie al lavoro pionieristico di Murray Schafer. MS è particolarmente noto sia per il World Soundscape Project, da lui ideato negli anni Sessanta per promuovere una nuova ecologia del suono, sensibile ai crescenti problemi dell'inquinamento acustico, sia per il testo The Tuning of the World (1977), tradotto in Italiano con il titolo “Il paesaggio sonoro”.
Grazie a questo suo lavoro sono stati resi noti i principali elementi del paesaggio sonoro : la tonica , il segnale e l'impronta.
La prima non è sempre percepita coscientemente, perché fa da sottofondo ed è caratterizzante un luogo: all'origine identificata con i suoni della natura (vento, piante, uccelli, ecc.) oggi è rappresentata anche dal rumore del traffico.
Il segnale è un tipico stimolo che ci allerta, che si distingue dagli altri suoni, come è in genere una sirena, un fischio del treno.
L'impronta, infine, è l'equivalente di ciò che nella vista è rappresentato dal landmark, ed identifica il luogo perché memorabile, indimenticabile, e da tutelare proprio come un edificio o monumento storico.
In questo ambito di ricerca e applicativo entrano in gioco le neuroscienze cognitive (eh sì , sempre loro) che studiano come inconsciamente le percezioni uditive ci inducono emozioni forti. Lo stimolo acustico trasmette, nell'unità di tempo , molte più informazioni di uno stimolo visivo, pertanto la stimolazione determina reazioni più veloci ed incisive. Un esempio è fornito dal clacson delle auto, che spesso rivela essere molto più efficace nella segnalazione di un pericolo rispetto alla segnalazione luminosa di un flash.
La biofilia gioca anche qui un ruolo importante nel definire i suoni piacevoli, allertanti o sgradevoli, in poche parole nel distinguere le armonie dal rumore. Il cinguettio di un usignolo, lo scroscio dell'acqua, ma prima di tutti la voce umana , (primo stimolo percepito dall'essere umano in forma embrionale, ancora nell'utero materno), sono i tipi di suono che risultano gradevoli. Rispetto alla voce umana (ma anche con altri suoni) abbiamo una forte capacità selettiva e discriminante, che esprimiamo attraverso il fenomeno chiamato “effetto cocktail party” secondo cui i suoni su cui non prestiamo attenzione non raggiungono la nostra consapevolezza perchè il nostro cervello elabora tutti i tipi di segnali che le nostre orecchie percepiscono ma seleziona solo quelli di cui prova più interesse, usando diverse tecniche per distinguerli (tono, impostazione di voce, ecc.), e quindi elabora il controllo dell’attenzione solo su questi (2).
E per concludere cosa possiamo dire del silenzio?
Il silenzio assoluto non esiste: quando si riesce a creare uno spazio altamente insonorizzato, come accade solamente nella camera anecoica, noi possiamo provare un senso di disagio oppure di magico, perché ascoltiamo solo i segnali che provengono dal proprio corpo e ci ritroviamo in forte intimità con noi stessi. Probabilmente in alta montagna possiamo andare vicini a questo tipo di esperienza, anche se un battito d’ali o una ventata tra le foglie degli alberi riesce sempre interrompere questo incantesimo.
John Cage, compositore sperimentale statunitense, intendeva proprio dimostrare questo concetto nel suo brano dal titolo 4′33″, il cui spartito dà istruzione all'esecutore di non suonare per tutta la durata di quattro minuti e mezzo del brano.
Buon Ascolto .
Fonti :
- Pallasmaa. "The eyes of the Skin"
- Binural Architecture- Tesi di Emily R. Brett -2015
- http://www.neocogita.com/leffetto-cocktail-party/