Gli Spazi lavorativi ai tempi del Coronavirus.
/Storia a puntate di una rapida trasformazione. (1)
L’ emergenza coronavirus ha procurato una serie di effetti collaterali inaspettati tra cui quello di avere un forte impatto sull’accelerazione e diffusione dello smart working. Tale modalità lavorativa da remoto ha coinvolto improvvisamente utenti che erano impreparati a questa rivoluzione lavorativa ed ha pertanto messo in evidenza delle criticità che invece una lenta conversione rischiava di ignorare.
Lo Smart Working è un fenomeno annunciato già qualche decennio, ma regolamentato solo nel 2017 con la legge 18, frutto di una sperimentazione che progressivamente avrebbe delegato le attività più routinarie e ripetitive all'intelligenza artificiale, sottraendole agli obblighi dell'impiegato.
L‘avvento della pandemia ha abbattuto in modo dirompente (e anche traumatico) quelle barriere burocratiche che rallentavano questa rivoluzione, anticipando un cambio di assetto mentale (mindset) che tardava ad attuarsi. Tali questioni adesso impongono un immediato intervento regolatore perché una utenza nuova, inesperta, ma anche più allarmata e pressante, lo richiede. Oggi ci si trova ad affrontare improvvisamente questioni già anticipate dalla routine lavorativa tradizionale, e cioè quelle legate ad una gestione nuova del tempo e dello spazio lavorativo. In realtà le nuove evidenze scientifiche e le nuove teorie progettuali su di esse basate, sono già disponibili e solo una certa pigrizia culturale ostacolava il loro mettersi in gioco.
L'avvento della robotica e dell'intelligenza artificiale ha determinato un aumento generale dell’ingaggio cognitivo (Knowledge Working), cosa che ora richiede una maggiore consapevolezza del capitale mentale individuale e delle sue potenzialità migliorative, oltre che dei limiti salutogenici che bisogna rispettare.
Questo aumentato carico mentale nei confronti dei lavoratori tutti - smart e non - esige dei tempi lavorativi che devono essere riconsiderati e riorganizzati in modo compresso e ridistribuito, alla luce delle nuove ergonomie cognitive e dei nuovi contesti da coordinare. (1)
L’emergenza ha creato tanti lavoratori smart improvvisati, ma indirettamente ha anche esasperato delle criticità dell’ambiente lavorativo in genere, che sia esso arrangiato nel proprio ambiente domestico o che sia quello delle sedi ufficiali aziendali.
Ci siamo resi conto che, nonostante la convivenza continua con la famiglia ci sottoponga a stressor (interferenze e interruzioni) che equivalgono a più open space messi insieme, riusciamo a volte a ottenere buoni risultati alla fine della sessione lavorativa, nonostante il tempo effettivamente dedicato ci sia sembrato poco. Cosa è successo?
Stare lontani dagli uffici tradizionali ci ha sicuramente restituito il tempo perso a rincorrere le paranoie da conflitto e le pause caffè necessarie al recupero di burn-out o rimuginii, ma le interferenze dei familiari (sia figli che partner) non sono da meno. Inoltre non si può nemmeno pensare che il multitasking in famiglia possa funzionare solo perché facilitato da una armoniosa condivisione di visioni, regole ed intenti. Le neuroscienze assolutamente non hanno dubbi a riguardo: il multitasking è una pura illusione e non è applicabile in nessuna condizione, tanto che quando si crede di fare più cose contemporaneamente in realtà si commettono solo più errori o comunque si lavora più lentamente.
E se c’è chi pensa di essere un genio e di poter risolvere con il multi-tasking l’aumentato carico cognitivo di cui parlavamo prima, c’è un interessante articolo scientifico che attribuisce a queste persone l’appellativo di “pericolose”, perché pare che l’individuo tenda a sovrastimare le proprie abilità, soprattutto quando si tratta di salute fisica, intelligenza e popolarità.
Ritornando quindi alla domanda precedente, dove si è trovato il tempo di finire il lavoro?
Molto probabilmente, se chiedessimo agli smart worker dell’emergenza, alle mamme insegnanti oppure ai papà designer, questi risponderebbero che sono ricorsi ad alcune ore rubate al risveglio, oppure hanno tratto vantaggio da tanti piccoli intervalli di tranquillità totale segretamente spesi in ripostiglio.
Questa nuova categoria di tele-lavoratori, privi di esperienza nel campo, più ingenui ma anche liberi dal pregiudizio, costituiscono una prova di valutazione e validazione molto attendibile, che aiuta a velocizzare un percorso di conversione del concetto di contesto lavorativo che non riguarda solo il lavoro agile dentro le mura domestiche, ma interessa il futuro molto prossimo degli uffici tutti, che dopo la fine della pandemia, ci auguriamo ritornino a funzionare in modo più salubre, efficace ed efficiente di prima. Concentrazione, attenzione, memoria di lavoro, soluzione di problemi, default mode, sono tutti componenti di una attività mentale creativa e quindi produttiva, che richiede tempistiche ben precise.
Il mattino ha l’oro in bocca, si dice spesso. E la scienza è d’accordo, ma tante ancora sono le verità da sapere sulla sapiente gestione del tempo e dello spazio.
Alla prossima puntata.
Smart Working Mind , Strategie e opportunità del lavoro agile, N. De Pisapia, Mi. Vignoli , Il Mulino* (farsi un’idea) 2021.