Neuroarchitettura 2.0 Edifici con l'anima
/Al principio si pensava che il connubio tra neuroscienze e architettura avrebbe portato a due percorsi molto distanti e diversi tra loro. Il primo caratterizzato da quello che effettivamente sta accadendo, e cioè l'applicazione delle conoscenze in campo cognitivo, neurofisiologico e psicologico alla progettazione, per creare ambienti (statici) che aiutano a svolgere al meglio le attività a cui lo spazio è destinato. Il secondo percorso, invece,riguarderebbe lo sviluppo di edifici intelligenti, cioè di edifici dotati di sistemi tecnologici avanzati che permettono una continua interazione con gli occupanti e un adeguamento dello spazio alle diverse esigenze rilevate. Trattasi di un’architettura dinamica, che si può definire neuromorfica o responsiva alle esigenze più svariate, che siano esse relative alla sfera emozionale, sociale o prettamente di tipo fisiccorporea. Il neologismo neuromorfico è da attribuire a Michael Arbib, neuroscienziato, ingegnere e psicologo, nonché professore alla USC (California), quando nel 2012 ha presentato un articolo scientifico che descriveva "ADA - lo spazio intelligente", un padiglione visitato da oltre 550.000 ospiti all'Esposizione nazionale svizzera del 2002. Questo edificio presentava un'infrastruttura interattiva basata (in parte) su reti neurali artificiali (ANNs), e aveva la pretesa di “provare emozioni' e di “giocare” con visitatori. Con una banale rispondenza delle luci a pavimento ai passi delle persone danzanti, la pista da ballo restituiva ritmi e frequenze del movimento, in armonia con il comportamento degli occupanti, attraverso una illuminazione psichedelica generata inconsapevolmente dagli stessi utenti. Il termine neuromorfico non si riferisce ad una replica delle azioni umane, quanto piuttosto alla loro interpretazione e reazione alle stesse. Nel suo articolo ormai datato Arbib già prende definitivamente le distanze dal vecchio concept di casa intelligente, abitata e appesantita da robots antropomorfi, che replicano le azioni umane. La nuova protagonista è una tecnologia silenziosa, discreta e leggera, che coincide perfettamente con le caratteristiche dei sensori corporei e ambientali che sono attualmente disponibili sul mercato. Stranamente però questo filone stenta ancora ad affermarsi, nonostante le tecnologie disponibili possano contare sul connubio con discipline neuroscientifiche come scienze cognitive, machine learning e intelligenza artificiale che sono all'altezza delle aspettative.
In realtà timide espressioni di edifici responsivi, cioè animati al punto di modificarsi e adattarsi alle diverse esigenze mutanti degli occupanti in tempo reale, già esistono. Si pensi alla domotica, che è capace di interpretare alcuni segnali ambientali per modificare le aperture delle finestre e dei tendaggi. Si pensi quindi anche ai sistemi di sicurezza, che attraverso database aggiornati a distanza possono riprogrammare il funzionamento dei sistemi di allarme o degli elettrodomestici in assenza degli occupanti. Si tratta di applicazioni che migliorano il comfort dell’ambiente, ne semplificano la gestione, restituendo una qualità di vita migliore dal punto di vista gestionale, ma non necessariamente garantiscono un benessere in senso lato. In poche parole possiamo asserire che gli edifici altamente automatizzati possano dimostrare di avere un cervello, ma non certamente un’ anima.
Ma cosa intendiamo per anima quando si sta parlando di edifici? Si intende forse la loro capacità di interpretare ed interagire con i bisogni non solo materiali delle persone, ma anche cognitivi, sociali e spirituali?
Le neuroscienze ormai permettono di interpretare e tradurre in numeri anche i nostri stati psico-fisici e quindi, perché non pensare di creare dei sistemi spaziali che oltre ad essere a misura d’uomo in termini di affordance e usablità siano garanti di benessere a 365 gradi ?
Lo scoppio della pandemia causata dal covid-19 ha bruscamente interrotto alcune speculazioni sulle possibili applicazioni delle tecnologie e delle neuroscienze all'architettura, e sta definitivamente spostando il focus della ricerca su problematiche legate alla sicurezza sanitaria. Il contenimento del contagio (informazione e controllo sul traffico degli occupanti in tempo reale) e la riduzione della percezione del rischio (garanzia di un diffuso senso di sicurezza), rappresentano le urgenze più immediate. Ma si prevede, che una volta superata la crisi, l'obiettivo principale della politica diventi quello di assicurare uno sviluppo territoriale che garantisca a tutti uno stile di vita sano, capace più di prevenire la cura anziché applicarla.
Questa nuova nuova esigenza sembra attivare un processo evolutivo in ambito progettuale che si impone con una forza ben maggiore delle precedenti tendenze di mercato e stilistiche. La coincidenza che questa spinta nasca proprio in concomitanza con l’onda derivante dalla disponibilità di un rinnovato sapere scientifico e tecnologico determina, in modo “endogeno” una rivoluzione progettuale che andrà sempre più nella direzione di un’ architettura “neuro”. Questa si imporrà in modo sempre più naturale, convincente e democratico, in quanto si rende garante di maggiore salubrità.
La complessità del linguaggio, alla fine, è solo apparente.
La disponibilità di nuovi dati da parte delle neuroscienze, capace di trasformare reazioni fisiologiche e anche modelli comportamentali in numeri, consentirebbe la programmazione di intelligenze artificiali che, nell'interpretare gli stessi dati, restituirebbe agli spazi da vivere quel cervello “emotivo” di cui avrebbero bisogno per diventare completamente responsivi.
I due percorsi a cui abbiamo fatto riferimento a capo dell’articolo, cioè quello statico, (legato alla biofilia e alla psicologia ambientale, che è già realtà - per quanto ancora di nicchia), e quello dinamico, (dell’architettura neuromorfica, percepito ancora come utopico e avveniristico), potrebbero adesso fondersi per creare un unico approccio, un paradigma progettuale che può risolvere l’antica dicotomia che contrappone l’estetica alla funzionalità degli spazi architettonici. Se la biofilia ci insegna che la bellezza trova la sua ragione nel giusto equilibrio degli stimoli sensoriali, il supporto di una tecnologia discreta consente di rispondere in modo dinamico e adeguato ai diversi stimoli.
Non sappiamo se il progetto ambizioso di realizzare un edifico responsivo nel suo complesso, come quello anticipato da Arbib, possa essere un risultato immediato, ma di sicuro sarà innescato un processo che, partendo dal basso, e rispondendo a esigenze e a committenze diverse, integrerà sub-sistemi sensibili, reattivi ma indipendenti. Chissà se poi il tempo darà il suo contributo per consentire il dialogo tra le distinte competenze e i diversi linguaggi, e restituire all’edificio una intelligenza compassionevole ed empatica che si prende cura dei suoi residenti.
Sarà poi azzardato chiamarla anima?