L'intelligenza naturale e la bellezza artificiale.
/La presentazione TED del 2012 di Machael Hansmeyer sulle potenzialità del disegno digitale e programmato (CAD) ci lascia ancora oggi in bilico, in uno stupore che non sa se trasformarsi in meraviglia , scetticismo o speranza. Dopo alcuni anni possiamo appurare che la stampa 3d sia diventata una realtà che rende la riproduzione di forme complesse facile ed immediata. Anche l'intelligenza artificiale, ritornata in auge grazie a reinventati algoritmi di apprendimento, rinnova la fiducia nella sua capacità di garantire prestazioni prima di pertinenza esclusiva dell’intelligenza umana. Ma possiamo considerare la stessa intelligenza umana priva di limiti? Essa non è tuttora capace di comprendere a fondo i segreti della natura e replicarne la casualità della sua evoluzione, l'armonia e la misura delle cose. Nonostante ci siano a monte le più nobili intenzioni accade spesso che la progettazione di ambienti complessi e iper-performanti offra, all'utente, esperienze negative e stressanti. Gli ambienti naturali vincono sempre e comunque su quelli artificiali: come mai?
Se ci fermiamo al fotogramma del minuto 3.50 del video ci troviamo davanti al tipico esempio di mostruosità generata da un algoritmo "andato fuori controllo". Hansmeyer parla di un effetto visivo riconducibile a quello che rappresenta il rumore nel mondo uditivo. In poche parole si tratta di un processo errato che in natura si concluderebbe con un aborto del processo stesso.
La nostra biologia , il nostro essere parte di un ecosistema, stabilisce le regole del nostro rapporto con l'ambiente in cui viviamo. Si tratta di regole che sono biologiche e anche estetiche, etiche e sociali. Se una nostra sensazione sia positiva o negativa viene stabilito da una legge di natura che risponde alla stessa che ha forgiato noi esseri umani. La biofilia è una filosofia che sostiene questa legge di natura, che per quanto inafferrabile a tratti, è alla base dell'ipotesi biofilica e del design biofilico, un criterio di progettazione che analizza e verifica gli aspetti naturali nell'ambiente antropizzato con il fine di migliorare la qualità dello stesso e della nostra vita.
Nicola Salingaros, matematico, è un accanito sostenitore del design biofilico ed ha molto da dire su quello che viene stabilita come giusta misura e armonia dell'effetto estetico delle cose. Salingaros usa come rifermento il frattale ed il suo grado di complessità , suggerendo i valori entro i quali ci si sentirebbe al sicuro da stimolazioni percettive, tanto da farle risultare né monotone, e quindi poco stimolanti, né fastidiose e quindi stressanti. Un frattale codifica strutture geometriche su diversi livelli e non ci sono preferenze sulle scale.
Tutti i tessuti organici hanno strutture geometriche di base che si ripropongono in modo similare tra loro e legano tra di loro gli umani, gli animali, le piante e quindi i paesaggi. In questa sorta di similitudine si stabilisce tra tutti gli elementi naturali una sorta di "Comunicazione Subliminale", cioè un'attrazione verso i segni densi di significato che risultano in un senso di piacevolezza e di benessere diffuso senza esserne consapevoli. Se questo concetto risulta intuibile con l'esperienza visiva, va fatto lo sforzo di applicare lo stesso a tutti gli altri sensi, dal momento che il principio non cambia. Possiamo quindi creare categorie di suoni, tessiture, odori che siano legate ad esperienze piacevoli, che incontrino la nostra positiva predisposizione.
A questo punto, ritornando alla performance della generazione algoritmica della colonna mostrata nel video, viene da porsi la seguente domanda: Come si può controllare e gestire il processo creativo artificiale per ottenere un esito finale che possa essere definito non solo universalmente accettabile, ma anche equo, opportuno, conveniente ? Ma soprattutto c'è da chiedersi se il nostro senso di bello e di armonico possa evolvere nel tempo in quella sorta di evoluzione epigenetica che sicuramente è già in atto, e che ci potrebbe adattare ad un nuovo ordine delle cose ed educarci ad esperienze spaziali non necessariamente riconducibili ad archetipi naturali, ma controllati da un'intelligenza non più umana.
Queste considerazioni creano un'impasse, ma una riflessione su come sono evoluti gli strumenti tecnologici negli ultimi millenni potrebbe aiutare ad uscirne fuori. Il disegno e la tecnica costruttiva hanno sempre rappresentato forme creative che delegavano l'esecuzione a strumentazioni esterne al nostro corpo, gradatamente sempre più distanti da esso, dalla matita al CAD, dal martello alla stampante. Eppure altrettanto gradualmente il nostro cervello si è adattato al nuovo creare e al nuovo creato con piccoli traumi che sono stati molto bene recuperati.
C'è un'atavica paura della possibile perdita di controllo sulla macchina, espresso attraverso varie forme di arte come la letteratura ed il cinema. Il film cult "2001 Odissea nello spazio" è una favola apocalittica sul destino dell'umanità, la cui identità risulta diversa dal resto della natura. La storia parla di una missione su Giove in cui un computer (HAL) si trasforma da strumento affidabile di supporto a terribile nemico dell'ultimo uomo superstite, e cerca di toccare problematiche antichissime relativa all'identità della natura umana, al suo destino, e al ruolo della conoscenza e della tecnica. La favola però si conclude bene, e non perché la mente umana riesca a sedare la ribellione e l'intraprendenza di quella artificiale, ma perché a monte di questo apparente conflitto uomo-macchina si scopre esserci la volontà dell'uomo stesso (dei responsabili della missione) a stabilire delle priorità sbagliate, in conflitto con la propria sopravvivenza.