Zoom-in o Zoom-Out. Come approcciarsi alla neuroarchitettura?

Gli articoli scientifici sugli aspetti psicologici della architettura sono in grande aumento, specialmente se si considerano gli ultimi 5 anni. Tendenzialmente si assiste ad una proliferazione di ricerche che analizzano aspetti molto specifici come, per esempio, quelle che si dedicano alla relazione tra diverse forme geometriche ed i livelli di stress o ansia, oppure quelle che indagano l’influenza dei diversi parametri luminosi sul stato di allerta.

Piccoli frammenti di un puzzle complesso che è quello che rappresenta l’interazione delle persone nell’ambiente costruito.  Ma d’altra parte come pretendere di rivoluzionare l’approccio al design se non si fa riferimento all’evidenza scientifica, la cui attendibilità è legata all’osservazione di aspetti considerati isolatamente, pena la invalidazione del rapporto causa effetto del fenomeno osservato? 

iNTERNO VENEZIANO - G. Ascione

Esistono punti di vista che ritengono inefficace un tipo di approccio unicamente dettagliato e specifico, come quello del prof. Anjan Chatterjee, che nel suo articolo suggerisce un livello maggiore di astrazione per potere tenere a freno la considerazione di tante piccole variabili ingombranti, e quindi propone una maggiore attenzione sulle risposte psicologiche generiche delle persone all'ambiente. Il suo riferimento principale è una triade architettonica che consiste in 1) coerenza – quanto appare organizzato e leggibile uno spazio, 2) fascino – quanto complessa e ricca di informazioni è l’esperienza dello spazio, e 3) familiarità – quanto lo spazio genera un senso di appartenenza e comfort.

Una categorizzazione che sembrerebbe chiara e risolutrice in prima istanza, ma che sembra volgere lo sguardo indietro (e non mi riferisco alla triade vitruviana), verso le premesse di circa quaranta anni fa, quando si era agli albori della psicologia ambientale. All’epoca però la tendenza spingeva in direzione opposta, cioè si auspicava una sperimentazione rigorosa che producesse evidenze scientifiche e appigli per nuove teorie, le quali potessero comprendere e risolvere la complessità del tipo di indagine dissipando le incertezze e vaghezze.   

Già agli inizi degli anni 70, prima che si sviluppassero le neuroscienze, l’attenzione nei confronti della psicologia era molto forte, e  nasceva soprattutto da una pluralità di interessi che erano però esterni alla psicologia stessa (quella tradizionale), e la psicologia ambientale era una di queste.

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Uno studio del 1970 condotto da W.H. Ittelson, mette già in evidenza la difficoltà di ridurre l’esperienza di un spazio ad un rapporto semplice di causa-effetto, tra lo spazio e la persona, sia che si consideri prima l’uno o l’altro. Essa dimostra, con dati alla mano, quanto fenomeni di interazione semplice determinino situazioni molto poco scontate e soggette a dinamiche psicologiche non proprio intuitive. Lo studio osserva il comportamento di due gruppi di pazienti di un stesso ospedale psichiatrico che si distinguono rispetto a due diverse sistemazioni. Un gruppo viene sistemato in una struttura di camere multiple, mentre il secondo gruppo è accomodato in camere individuali.  Nell’ipotesi semplicistca di causa-effetto tra spazio ed individuo, verrebbe da aspettarsi che lo spazio condiviso agevolerebbe un’interazione sociale maggiore, e che invece un comportamento più introverso verrebbe registrato nel gruppo di coloro che alloggiano in camere individuali. Accade invece completamente il contrario perché le persone reagiscono non tanto direttamente all'offerta esplicita ma alla percezione di libertà che tale di quella scelta che ne deriva. Si verifica quindi che un maggior numero di interazione è registrato  nella struttura a camere singole, perché si verifica una percezione di un più vasto margine di possibilità alternative, cosa che invece le stanze  multiple non mettono a disposizione. Quando si parla di gioco di sponda in un precedente articolo di questo journal si fa riferimento proprio a queste serie di rimbalzi tra elementi fisici e non,  ma anche a  logiche di insieme, cioè di sistemi complessi che è difficile congelare e replicare in quanto legati  a situazioni contingenti.

Nel campo delle neuroscienze applicate al design succede anche che, a seconda del punto di vista adottato, le cose vengono interpretate e analizzate in modo diverso. L'architetto tende a vedere lo spazio come stimolo alla risposta comportamentale della persona-utente, mentre  lo psicologo imposta l’indagine in maniera opposta, vedendo le  persone come determinanti  delle caratteristiche dell’ambiente  (nonostante considerino elementi fisici inamovibili). Questo rende il dialogo interdisciplinare estremamente complicato. 

mETRO nAPOLI DI g. aSCIONE

A rendere ulteriormente complicata l’anticipazione di certe dinamiche spaziali, in vista di una progettazione di qualità che risponda alle aspettative, è il fatto che il  successo  dipende dalla chiarezza dell'obiettivo prefissato. Il tempo è un elemento che discrimina molto i tipi di indagine. Cerchiamo un effetto a breve o a lungo termine? Qual è lo scopo dell’analisi, siamo interessati a guidare le persone nell’esperienza dinamica di un ambiente, e a valutare le loro possibili scelte comportamentali, oppure cerchiamo un’atmosfera da sogno, per un effetto rigenerante all’istante? In poche parole parliamo di una sala di attesa in una stazione oppure di un percorso museale, o, ancora diversamente, pensiamo ad un’area per il co-working?  

Applicare la scienza, che siano neuroscienze, statistica, o le conoscenze di psicologia comportamentale, non danno una garanzia di completo controllo del progetto, ma danno garanzia sulla cura di alcuni aspetti che si stabiliscono come prioritari, che sono poi quelli richiesti dal committente, sia esso mosso da interessi privati o da esigenze e aspettative etico-sociali del pubblico.  Non si tratterà mai di una previsione completa di quello che accadrà in quello spazio ma sicuramente è un modo per anticipare gli aspetti considerati, e decidere a quali dedicarsi in modo particolare. Siamo consapevoli che ci troviamo di fronte a fenomeni “organici” perché umani, pertanto il team di progettazione necessita un lavoro di coordinamento di vari punti di vista e di diverse capacità creative per risolvere conflitti.

Un approccio artigianale si potrebbe definire, anche se il termine suona molto strano in un’epoca pervasa dalla tecnologia AI.    

Design Biofilico. Tra scienza, neuroscienza e pseudoscienza

La neuroarchitettura è nota come campo interdisciplinare che si basa sulla collaborazione tra design e fondamenti di neuroscienza. Tale connubio suscita perplessità quando si fa riferimento al design biofilico. Il termine “biophilia” (riporto il termine in inglese poiché diffuso dopo la pubblicazione del libro omonimo nel 1984, del biologo statunitense Edward O. Wilson) sottende, nella etimologia della parola, più un significato filosofico/letterario piuttosto che un rigore scientifico, perché fa riferimento a quella forza attrattiva, non ancora completamente spiegata, che gli uomini sentono nei confronti della natura e delle sue manifestazioni.  Tale amore per l’ambiente naturale ci fa percepire come gradevole tutto ciò che vi appartiene, e si giustifica con il fatto che noi ci siamo evoluti strutturalmente, cognitivamente, ed emotivamente in esso.

Spesso si considera la biofilia solo dal punto di vista percettivo, cioè come apprezzamento estetico che in qualche modo ci tira su il morale e ci rende più contenti. In realtà biofilia intende l’affiliazione del genere umano a tutto ciò che è espressione della natura, anche qualcosa che va oltre il mero apprezzamento dei sensi. Questa più allargata definizione risulta inevitabilmente più vaga , meno rigorosa scientificamente e più vicina all’ambito del fenomenologico, nonostante la ricerca continui costantemente a sostenere e a validare l’assioma di partenza. Infatti aumentano le scoperte che evidenziano i meccanismi biologici per cui noi esseri umani reagiamo positivamente a livello fisiologico oltre che psicologico a determinate stimolazioni  del mondo naturale, legittimando la validità dell’ipotesi biofilica.

Una revisione sistemica del 2018 ha rilevato che il tempo trascorso in natura porta benefici ad ampio raggio. Sono stati registrati infatti miglioramenti della pressione sanguigna, ed esiti positivi correlati al cancro e diabete di tipo 2. Adulti che hanno trascorso almeno 10 minuti all'aperto e per tre volte a settimana hanno registrato un calo di quasi il 20% del cortisolo, l'ormone dello stress.

E adesso la pandemia non fa che confermare l’inequivocabilità di questi benefici.

L’esistenza di patologie, che sicuramente esistono ma contraddistinguono solo la piccola minoranza della popolazione mondiale, non è certamente una motivazione di alcuni insuccessi. Esiste infatti una lunga lista di malattie - ignote per la maggior parte -  le quali testimoniano casi di profonda avversione nei confronti di alcuni fenomeni o elementi in natura, che al contrario sono comunemente riconosciuti come rigeneranti e benefici dalla stragrande maggioranza delle persone.  

Siamo abituati a sentire parlare di entomofobia (paura degli insetti), o ancor di più dell’aracnofobia (paura dei ragni) , per le quali la persona va nel panico al punto tale da rifiutarsi di uscire di casa. Ma esistono altri casi meno noti quali l'anablefobia.  Chi ne soffre non ha nessuna intenzione di sdraiarsi sulla schiena ad osservare il cielo stellato perché ha paura di guardare in alto: molti legano questo tipo di fobia al terrore verso l'ignoto e all'insignificante presenza dell'uomo nella vastità dell'universo, mentre altri la vivono combinata alla paura per la gravità, che li porta a pensare che saranno schiacciati. Ancora più sconvolgente ed incredibile risulta l’antrofobia, il terrore dei fiori, forse indotto dal terrore degli insetti che gravitano attorno ai fiori o dalle malattie che potrebbero veicolare.

Queste sono le classiche eccezioni, che sottendono particolari traumi non superati e interiorizzati, ma che confermano la regola. La regola è che, a livello percettivo, gli elementi di uno spazio che replicano caratteristiche della natura o che ne facciano parte, rendono la nostra esperienza piacevole e ci marcano come affiliati alla natura.

Ma qual è il significato profondo di questo sentirci affiliati?   

Esso non si distacca troppo dal concetto legato al senso di appartenenza ad una comunità, ad un’associazione. Quindi sentirsi affiliati a tutto ciò che è natura significa sentirsi parte del mondo, organico e anche inorganico, purché costituente il sistema, rispettando le regole di convivenza ed evitando gerarchizzazioni e classificazioni artificiose.  

Il design biofilico si fa promotore di principi che vanno oltre il perseguimento della bellezza legata al compiacimento estetico e sensoriale, proponendo un approccio che vuole allontanarsi dall’antropocentrismo. L’obiettivo è, sì assicurare benessere all’individuo attraverso il godimento di stimoli sensoriali piacevoli, ma è anche e soprattutto perseguire altri valori, quali la verità, la coerenza,  la giustizia. Tali valori sono esprimibili  attraverso il giusto dosaggio di parametri spaziali capaci di modulare le aspettative dell’occupante e le sue reazioni emotive. D’altra parte anche le fobie, pur nella loro negativa interpretazione del creato, tendono a dare significati a certi fenomeni e presenze che vanno oltre l’apprezzamento estetico ma ne interpretano i significati ed i messaggi nascosti, e quindi esistenziali.

I pregiudizi diffusi sul nuovo approccio conducono al fraintendimento del concetto base di biofilia e inducono alla trappola del greenwashing – qui declinato nel contesto architettonico e non della green economy-  cioè quella tendenza ad agire in modo superficiale e semplicistico che, senza un’attenta lettura del contesto spaziale, ritiene che il mero inserimento di piante sia sufficiente a migliorarne la qualità.

La solitudine delle piante ornamentali

 Specialmente nella piccola scala di intervento dell’interior design notiamo che le macchie di verde stentano a lasciare un segno profondo nella nostra esperienza spaziale. Pareti verdi incorniciate a mo’ di quadro, oppure piante dalle chiome più rare e stupefacenti, rispondono a layout geometrici e a cure degne di esposizione museale. Il verde viene inserito senza alcuna considerazione della sua potenzialità comunicativa e biologica, e viene ridotto ad elemento di riempimento di angoli dimenticati in fase di progettazione.  

La natura reale diventa un surrogato di se stessa, e per quanto si possa asserire che anche in forma surrogata la natura possa avere effetti rigeneranti, la forzata declassazione di ciò che è autentico (effetto di greenwashing appunto) finisce per togliere credito alle reali potenzialità di questo nuovo paradigma progettuale. Il progetto biofilico quindi viene relegato alla condizione di pseudoscienza, nonostante il progressivo contributo del metodo scientifico, che si sforza di emancipare tale disciplina dalla sua parvenza di semplice indagine fenomenologica.

Extraordinary claims require extraordinary evidence
— Carl Sagan

"Affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie". Questa è una famosa frase di Carl Sagan, astrofisico di fama mondiale, che dà bene il senso della fatica che la ricerca in questo ambito deve affrontare per legittimare il percorso, nonostante i risultati continuano ad esserci.

La pratica del “Bagno nelle foreste” (Shinrin-Yoku”), diffusa in Giappone sin  dal 1982, ritiene altamente benefico il profondo contatto con specifiche foreste. Ad oggi si contano nell’isola ben 62 boschi certificati che sono riconosciuti di provvedere al rilascio di fitocidi, i quali che abbassano la pressione sanguigna, aumentano la produzione di cellule natural killer (NK) e migliorano l'umore. La diffusione di tale pratica fuori dall’Asia è massima in USA. Qui è promossa a rango di vero e proprio protocollo  medico, anche se solo in un ambito ristretto, cioè nei centri di trattamento per traumi militari.

Quali effetti porterà la "The Tree Path" di Sabbioneta? (crediti CRA)

Il vero e definitivo successo di tali pratiche innovative è possibile solo attraverso la comprensione dei legami tra benessere personale, comunitario ed ecologico. Senza la sinergia della struttura fisica, delle emissioni biochimiche e della narrativa sociale, (cosa che si è verificata naturalmente in Giappone) risulta difficile comprendere e diffondere la pratica nella sua complessità, completezza ed efficacia.

Queste sarebbero le ragioni per cui la pandemia è risultata una esperienza fondamentale per legittimare alcuni assiomi secondo i quali la natura non solo determina la riduzione dello stress, restaura l'attenzione, ma è un esempio di come l'esperienza della bellezza sia collegata con la generosità e la gentilezza, legittimando la teoria della scrittrice e filosofa Iris Murdoch, secondo cui questo profondo legame con la natura spiegherebbe il fenomeno per cui è più probabile che le persone salutino lungo i sentieri in natura che in altre parti della città.

 L’insuccesso, o meglio le difficoltà che incontra anche la  green economy e tutto l’apparato a sostegno della transizione energetica, probabilmente sta nell’incompletezza della sua visione.  Questo movimento ha come obiettivo il risparmio delle risorse del pianeta e uno sviluppo economico sostenibile, che assicuri un futuro agli abitanti della terra e in primis all'uomo. Ma qui il concetto di biophilia non è centrale, o perlomeno non lo è ancora.

Prende il sopravvento l’idea di dover domare e gestire le leggi che governano il sistema, piuttosto che far prevalere la presa di coscienza di esserne parte e di dover sottostare alle sue leggi. Il risultato è un senso di frustrazione per un meccanismo rigenerativo che stenta a partire.

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Giusi Ascione

Architetto abilitato dal 1992, LEED Green Associate, con un’esperienza decennale all’estero presso studi di progettazione internazionali (Burt Hill, EMBT/ RMJM, Forum Studio/Clayco). Rientra in Italia nel 2008 per avviare ABidea, dedicato alla progettazione e al retrofit. Nel frattempo presta consulenza presso Proger Spa, NeocogitaSrl, collabora con il GBCItalia. Consulente architetto per spazi rigeneranti e formatore di CFP per architetti, è coinvolta anche in attività di ricerca interdisciplinare centrata sulle relazioni tra il comportamento umano e lo spazio costruito. (EBD - Environmental Psychology)

L'inconsapevole cognizione dello spazio costruito

C’è una forza costante e indefinita che lega la psicologia all’architettura, che costringe le due discipline a inseguirsi senza però mai interfacciarsi. Eppure non c’è aspetto mentale che non abbia, oltre al riscontro fisiologico e sociale, una riferimento ed un corrispettivo in ambito architettonico o territoriale. L’influenza del contesto ambientale sulla nostra psiche non è prevalente, ma è quasi sempre determinante, perché funziona da marcatore, evidenziatore e amplificatore della situazione.

Architettura e Psicologia, due percorsi paralleli

Architettura e Psicologia, due percorsi paralleli

Prendiamo ad esempio l’ippocampo, costituito da due porzioni simmetriche di cervello situate nei due lobi temporali. Esso è notoriamente sia sede della memoria sia sede dell’apprendimento spaziale (orientamento). In origine si pensava che fosse l’olfatto la sua principale funzione, ma poi scoperto che sono anche altre le aree del cervello ad essere coinvolte. In ogni caso, anche se l'olfatto non è la funzione primaria dell'ippocampo (esso ne rimane comunque coinvolto) abbiamo qui l’evidenza anatomica del forte legame tra emozione (legata alla sensazione olfattiva e alla memoria di lungo termine), cognizione ed esperienza spaziale.

In un articolo precedente è stato già messo in evidenza come la struttura dell’ippocampo sia rappresentativa dello stretto legame tra psiche ed architettura, ed ora, a completamento ed arricchimento di questo argomento, introduciamo la teoria dell’ embodied cognition , cioè di quell’esperienza spaziale che avviene a livello corporeo. Non ci riferiamo al tatto in questo caso, piuttosto all’insieme dei nostri movimenti e posture relativi ad un contesto. L’esperienza corporea legata al movimento erroneamente separa il corpo dalla mente, laddove il movimento e la propriocezione, (cioè la consapevolezza dell’interazione del nostro sistema muscolo-scheletrico con il contesto) non sono altro che estensione della corteccia motoria, allo stesso modo con cui gli occhi ed il naso sono collegati alla corteccia visiva ed olfattiva. Certamente esiste un diverso grado di consapevolezza tra i sistemi percettivi “tradizionali “ e quelli “embodied”, nel senso che è facile che gli stimoli motori e posturali passino più inosservati rispetto a quelli recepiti dagli altri sensi. La cognizione corporea conserva quindi la caratteristica di essere inconsapevole rispetto alla conoscenza chiara che viene filtrata dai soliti cinque sensi, anche se questi ultimi, in aprticolare la vista e l’udito, non sono esonerati dalla stimolazioni più delicate e nascoste (nudging) di soluzioni architettoniche strategiche. Quando però riconsideriamo i fatti e gli scenari appena avvenuti è più facile fare mente locale su ciò che distrattamente abbiamo visto o udito piuttosto che ricordare precisamente i nostri movimenti.

Detto questo possiamo definire l’esperienza spaziale come un fenomeno complesso, cross-modale e senso-motorio, che lascia ampio spazio all’inconsapevolezza, soprattutto perché il nostro sistema agisce per schemi noti che inducono agli automatismi.

Welcome to Your World,  S. William Goldhaghen, HarperCollins, 2020.

Welcome to Your World, S. William Goldhaghen, HarperCollins, 2020.

Sarah Williams Goldhagen parla, nel suo libro (foto), di uno spettro della cognizione umana dell’ambiente circostante, che registra un andamento decrescente del livello di consapevolezza che coincide con un passaggio graduale della cognizione linguistica a quella prelinguistica. La cognizione prelinguistica è più difficile da cogliere e da esprimere. Quando eseguiamo le azioni routinarie, come quella di andare in ufficio ogni mattina, esistono tante azioni ripetute, quali il vestirsi, prendere le chiavi dalla mensola, aprire la porta e percorrere il solito vialetto, le quali impegnano il corpo e la mente senza che ne abbiamo piena consapevolezza. In realtà si tratta di sequenze di azioni e reazioni che non richiedono energia mentale ma che forgiano e condizionano, anche se molto lentamente. Sono soprattutto questi gli aspetti della cognizione spaziale che dobbiamo imparare a considerare e a soppesare al fine di creare ambienti strumentali alle nostre attività, “compassionevoli” della nostra condizione. Non esiste il design ideale per ogni contesto ambientale e sociale, ma esistono diverse possibilità di definire un’esperienza. Se riconsideriamo la sequenza di azioni mattutine prima citata e cambiamo il layout ambientale, cioè cambiamo il posto delle chiavi, il verso di apertura della porta e arrediamo con nuove piante il vialetto esterno, sicuramente rompiamo alcuni automatismi, arricchiamo l’esperienza per un po’ di tempo, fino a che non diventa nuovamente una routine. Anche in tal caso possiamo immaginare uno spettro, quello dello stimolo, che da lieve (di piacevole sorpresa) aumenta sempre più fino a registrare uno stress che da episodico diventa cronico.

Il cambio di marcia del lavoratore smart improvvisato, tema centrale di questo periodo pandemico, è proprio un esempio di come un radicale cambiamento, che non trova un suo assetto definitivo, può causare forte disagio, nonostante il cambiamento avvenga nella direzione desiderata. La completa libertà nella gestione del lavoro stravolge la matrice spazio-temporale, elimina gli schemi prefissati, gli automatismi, cioè quei gap che sfuggono alla consapevolezza ma che aiutano a far riposare il sistema mente-corpo. Il sovraccarico mentale, per quanto eccitante e intrigante all’inizio, alla lunga rende frustrati e anche inutilmente frenetici.

La riorganizzazione del rapporto lavorativo richiede l’intervento soprattutto di psicologi e sociologi ma non può prescindere anche da un approccio progettuale compassionevole. Attualmente la progettazione architettonica sta prendendo coscienza della sue lacune e esprime la volontà di superamento della stesse, ricalcando così le stesse difficoltà di percorso che hanno caratterizzato l’affermarsi della psicologia di inizio secolo scorso, quando similarmente si imparava a comprendere la complessità dei caratteri distintivi del modo di pensare e di sentire del singolo individuo.

La consapevolezza nuova della cognizione della spazio richiede il superamento di una resistenza, una forza che , per dirla con le parole di Daniel Kahneman, ci ha abituato ad ignorare la nostra ignoranza ed essere cechi alla nostra cecità.

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We can be blind to the obvious, and we are also blind to our blindness
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Giusi Ascione

Architetto abilitato dal 1992, LEED Green Associate, con un’esperienza decennale all’estero presso studi di progettazione internazionali (Burt Hill, EMBT/ RMJM, Forum Studio/Clayco). Rientra in Italia nel 2008 per avviare ABidea, dedicato alla progettazione e al retrofit. Nel frattempo presta consulenza presso Proger Spa, NeocogitaSrl, collabora con il GBCItalia. Consulente architetto per spazi rigeneranti e formatore di CFP per architetti, è coinvolta anche in attività di ricerca interdisciplinare centrata sulle relazioni tra il comportamento umano e lo spazio costruito. (EBD - Environmental Psychology)

Strategie "evidence-based" per soluzioni spaziali alternative

I progettisti hanno da decenni capito l'importanza del dato scientifico per dare una validità oggettiva e non arbitraria allo spazio costruito. Abbiamo già parlato di come le neuroscienze abbiano dato, e continuino a dare, un forte contributo al filone dell’evidence-based design.

In questo momento però si sente il bisogno di un ulteriore supporto di dati attendibili, perché l’avvento della recente pandemia rende centrale il concetto di benessere legato alla salute fisica e alla sopravvivenza.

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La Space Syntax è disciplina che nasce come strumento di progettazione in scala urbana, per prevedere e valutare le complesse relazioni tra la società e il tessuto del territorio, e che ultimamente sta dimostrando di essere uno strumento affidabile anche nel campo della progettazione architettonica e degli interni.

Questa nuova disciplina eredita i temi della ricerca di Kevin Lynch appartenenti al secolo scorso, facendosi interprete di quella già dimostrata sua diffidenza nei riguardi di “una astrazione intellettuale della cultura umanistica”, e della “limitazione all’ambito interpretativo o descrittivo e l’incapacità di tradursi in reali suggerimenti di lavoro” (1).
Lynch, infatti, aveva già intuito che l’assetto formale della città è sì un fenomeno estetico, ma soprattutto il risultato di un fenomeno umano e naturale che si riconduce alla sua esperienza percettiva. Ed è proprio sull’analisi sull’esperienza visiva, legata alle connessioni e alle percorrenze dello spazio stesso, che si imposta questa nuova tecnica analitica.

La Space Syntax nasce come approccio di mera lettura dello spazio capace di semplificare la complessità, di discretizzare il caos fenomenologico, e di tradurre in numeri, codici, grafici quelle che sembrerebbero caratteristiche qualitative e descrittive. La disponibilità di dati piuttosto che di valutazioni descrittive e soggettive, è molto rassicurante dal momento che c’è molta esigenza di affidabilità nelle previsioni, nelle valutazioni e decisioni da prendere.

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Per comprendere l’importanza dell’approccio sintattico dello spazio bisogna partire dal postulato che le configurazioni spaziali di un edificio contengono molte più informazioni di quello che siamo abituati a scorgere, e che fattori quali partizioni, corridoi, accessi da un compartimento ad un altro definiscono non solo configurazioni planimetriche e distributive, ma stabiliscono delle relazioni di vantaggio o di svantaggio tra utenza e spazio e rispetto ad un determinato obiettivo. Se l’obiettivo cambia è possibile che vantaggi si trasformino in svantaggi, e viceversa. Cio’ che rimane uguale è il dato che quantifica, che descrive le relazioni e le gerarchie, e che lascia al progettista la scelta di virare verso un tipo di interpretazione o l’altro.

Kerstin Sailer, un’architetta-sociologa ricercatrice alla Bartlett School of Architecture di Londra, che si interessa dei comportamenti umani negli edifici, sottolinea che questo approccio numerico non è parte di una scienza esatta ma è una metodologia che può essere di grande supporto alla progettazione tradizionale, senza sostituirla integralmente.

L’elemento base dell’approccio è l’isovist, un poligono bidimensionale (potrebbe anche essere tridimensionale) la cui area, ottenuta dalle proiezioni di un punto scelto in determinate direzioni, esprime le caratteristiche del punto scelto rispetto alla visibilità, al controllo, alla connettività con il contorno, sia in forma attiva che passiva. I numeri legati alle caratteristiche di questi grafici esprimono tendenze che acquisiscono accezioni negative o positive dipendentemente dagli obiettivi e dalle finalità dell’analisi.

Questo approccio si basa sulla consapevolezza che lo spazio costruito è complesso e profondamente dinamico, e non perché è trasformabile strutturalmente, ma perché cambiano le percezioni rispetto ad una stessa situazione, oppure perché si trasformano i valori di riferimento e le priorità.

Da https://www.slideshare.net/kerstinsailer

Da https://www.slideshare.net/kerstinsailer

La figura adiacente è tratta da una ricerca del 2012 su un edificio destinato al lavoro di ricerca, ed evidenzia come l’inserimento di un attrattore, cioè un distributore del caffè, in un’area emarginata del piano (punto C), sia capace di trasformare i pattern di movimento, e rivitalizzare accessi a stanze altrimenti nascoste. Questo prova che gli occupanti di un edificio seguono un criterio di traffico non solo legato alle funzioni programmate, ma anche alle opportunità indotte da interventi postumi.

Attrattori o repulsori, aperture o barriere, divisioni di flussi o convergenze, sono alcuni criteri di codifica che aiutano a controllare la complessità. Stiamo parlando di un’analisi della struttura spaziale che può analizzare fattori eterogenei a monte di micro dinamiche, e mettere in relazione i drivers psicologici e comportamentali derivanti dall’environmental psychology con gli aspetti più funzionali e tipici dello Space Syntax.

A tale riguardo un esempio importante è lo studio pubblicato nei Proceedings del Space Syntax Symposium nel 2017, che riguarda l’analisi e il confronto tra più layout di coffe bar. In questo studio si incrocia la teoria psicologica del Prospetto-Rifugio - accreditata anche dal design biofilico - con l’attrattore spaziale rappresentato da una bella vista e la preferenza del tipo di seduta .

Si è notato come, in alcune specifiche situazioni, la scelta della posizione che offre maggiore controllo unitamente a una maggiore privacy, risulti prioritaria rispetto alla maggiore piacevolezza del luogo e/o alla comodità del tipo di seduta.

Naturalmente ogni tipologia di edificio definisce le priorità e gli obiettivi dell’analisi e degli interventi.

Per gli ospedali la chiave di lettura fondamentale è il controllo dei flussi per ridurre le probabilità di contagio, e quindi separare i tragitti tra diversi membri dello staff e consentire, simultaneamente, la comunicabilità a distanza e in tempi veloci. Nei tribunali, invece, la vicinanza fisica non è poi tanto un punto critico quanto la possibilità che le fazioni opposte abbiano di comunicare o solo di incrociare gli sguardi.

In questa nuova realtà post-pandemica, che impone anche nei luoghi di lavoro regole progettuali antitetiche a quelle precedenti, quali il distanziamento e le nuove misure di sicurezza, tecniche analitiche basate sui dati, capaci di rivalutare il potenziale sociale e comunicativo di uno spazio e di promuovere un rinnovato senso di fiducia, sono di grande aiuto. I numeri, si sa, sono dati rassicuranti di supporto nelle previsioni e per le decisioni da prendere, quindi disporre di un approccio scientifico, che ci aiuta a anticipare i movimenti, le aspettative ed i comportamenti degli utenti in modo non meramente descrittivo, è di sicuro un grande vantaggio.

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I luoghi lavorativi ora più che mai sono principalmente opportunità di collaborazione e confronto, soprattutto in vista di un coordinamento con il lavoro svolto da casa. L’approccio sintattico progettuale potrebbe essere di grande aiuto per non lasciare che nuovi requisiti per la sicurezza ci riportino indietro al concept rigido della compartimentazione.

Nota1. Tratto dall'introduzione di Gian Carlo GUarda in "L'immagine della città" di Kevin Lynch.






Può lo spazio accordarsi meglio ai nostri ritmi biologici?

Lo spazio costruito non è contenitore passivo delle nostre azioni ma è un elemento importante che plasma le nostre esperienze di vita, piccole o grandi che siano. Il connubio tra scienze e architettura è espressione di questa acquisita consapevolezza, e la ricerca applicata, dapprima concentrata su fattori ambientali più semplici, quali geometrie, luci, tessiture, si è poi anche rivolta ai sistemi più complessi, come i layout di arredo e la distribuzione degli spazi, per considerare gli aspetti relazionali e sociali oltre a quelli individuali. Esiste, però, un ulteriore aspetto che la progettazione architettonica ha ancora da mettere a fuoco, e cioè la dinamicità e la ciclicità che caratterizza la quotidianità dell’essere umano, espressione di una evoluzione millenaria nel sistema-natura e rispetto al quale lo spazio costruito deve fungere da interfaccia.

.Photo by Bill Oxford on Unsplash

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Il design biofilico è stato il primo settore a capire l’importanza che ha per l’uomo mantenere una continua connessione con gli eventi naturali, oltre che con i suoi elementi, insistendo sulla consapevolezza di essere parte integrante di un sistema armonico, ciclico, ma anche in continua evoluzione.

L’organismo umano ha integrato dentro di sé un sistema di orologi interni estremamente complesso, che segna e influenza il ritmo delle sue principali attività giornaliere. E’ anche vero il contrario, cioè che sono i segnali ambientali esterni, tra cui l’avvicendarsi del giorno e della notte, ad aiutare l’uomo a resettare questo orologio, assicurando il suo buon funzionamento.

Il ritmo circadiano, che è riconosciuto essere l’orologio principale, è un processo endemico che controlla non solo l’alternarsi del ciclo sonno/veglia, ma anche altri “orologi periferici”, cioè quelli relativi a organi e apparati meno evidenti ma altrettanto importanti. Pensiamo alle ghiandole deputate al rilascio degli ormoni, all’apparato digerente, oppure al sistema nervoso che regola le onde cerebrali, tutti sistemi responsabili dei cambi di umore e degli stati mentali.

Questi cicli non seguono tutti lo stesso periodo di 24 ore (si parla infatti di ritmi ultradiani e ritmi infradiani) ma si tratta sempre di fenomeni pulsanti, che seguono un andamento sinusoidale e mai costante .

Possiamo quindi asserire che il ritmo è un elemento fondamentale della nostra vita ? E che gli equilibri di uno stile di vita salubre sono spesso inficiati da soluzioni architettoniche statiche, ferme e indifferenti a quelle che sono le nostre diverse predisposizioni fisiologiche?

Come funzioniamo al meglio durante la giornata

Come funzioniamo al meglio durante la giornata

Il ritmo circadiano è un fenomeno che può funzionare a prescindere dai fattori esterni, seguendo il “free running”, ma questo sfasamento può causare, nel breve termine, stanchezza e irritabilità, e con il tempo e la ripetitività dell’errore, porta inesorabilmente alla formazione di malattie croniche gravi.

La cosiddetta luce blu del mattino (luce melanopica) che ci sveglia inibendo la produzione di melatonina, attiva indirettamente il rilascio di una serie di ormoni quali il cortisolo, la serotonina, la dopamina, il testosterone, ciascuna seguendo un andamento sinusoidale con tempi e durate diversi.

Certamente anche l’alimentazione ed il movimento sono elementi esterni responsabili della regolazione dell’orologio biologico, ma la luce rimane il principale stimolo.

Il cortisolo, con un andamento sinusoidale sfasato rispetto alla melatonina, ci predispone ad uno stato di allerta e a ottime capacità cognitive nel tardo mattino. Il pomeriggio, di contro, ci concede, per l’aumento di temperatura, un miglioramento delle capacità reattive e di coordinamento. La forza muscolare raggiunge il massimo livello poiché aumenta la velocità di propagazione degli stimoli nervosi e del metabolismo, facilitando la produzione di energia e migliorando la prestazione fisica. Succede poi che nella tarda serata la temperatura corporea incomincia a calare, e anche la diminuzione della luce naturale aiuta nel rilascio di melatonina e ci prepara al sonno.

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Detto questo sembra piuttosto logico dedurre che la nostra giornata, lavorativa o di studio, dovrebbe essere scandita da attività e da spazi che tengano presente le nostre dinamiche predisposizioni mentali e fisiche.

Alcuni recenti documenti istituzionali emanati con il patrocinio dell’OMS, quale il Piano d’Azione Globale, promuovono una maggiore consapevolezza per stili di vita più salubri, e abbozzano linee guida per l’innovazione delle organizzazioni lavorative, sia nell’ambito degli uffici destinati ai cosiddetti “colletti bianchi” che degli ambienti destinati al lavoro manovale. Sono esplicitamente condannate abitudini errate legate a politiche gestionali non attente alle esigenze psico-fisiche di base.

A Manifesto to End Boring Meetings, dal Wall STreet Journal

A Manifesto to End Boring Meetings, dal Wall STreet Journal

L’organizzazione degli spazi di ufficio, oltre a quelli scolastici che già sono sensibilizzati al problema, non dovrebbero ignorare questo principio. Immaginiamo che aree ben illuminate dalla luce mattutina siano destinate a sale per meeting, o per pause-pranzo. Tale scelta precluderebbe la localizzazione di postazioni singole di godere appieno dell’effetto stimolante e allertante della luce naturale del mattino, abilità non particolarmente richiesta in situazioni di convivio o di confronto.    

L’industria illuminotecnica è il settore che maggiormente ha recepito l’importanza dell’aspetto dinamico nella progettazione. Essa non solo riconosce l’importanza della luce naturale, ma supporta la ricerca applicata per la realizzazione di sorgenti luminose circadiane, capaci di gestire la qualità della luce non solo per l’attenzione ai nuovi parametri, quali la distribuzione spettrale, ma anche per gli aspetti biodinamici, che restituiscono toni ed intensità diverse a seconda del momento della giornata.

La cronobiologia, da parte sua, ha da tempo accettato la sfida per capire meglio il funzionamento dei diversi processi vitali e le implicazioni cliniche di questi meccanismi, tanto da lasciare che si facesse avanti il nuovo concetto di   cronoterapia, secondo la quale la somministrazione di farmaci a orari ben definiti possono aumentare l'efficacia, diminuendo le dosi e di conseguenza gli effetti collaterali.

In un‘ottica di prevenzione piuttosto che di cura perché, allora, non pensare ad una organizzazione, sia spaziale che temporale, che tenga conto degli andamenti variabili e ciclici del nostro organismo e del sistema che ci accoglie?

Il risultato potrebbe essere ottimo se si pensa che non solo verrebbero eliminati i fattori stressanti, specialmente legati agli spazi lavorativi e scolastici, ma verrebbe migliorata l’efficacia lavorativa grazie ad una maggiore efficienza fisica e mentale.











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Giusi Ascione

Architetto abilitato dal 1992, LEED Green Associate, con un’esperienza decennale all’estero presso studi di progettazione internazionali (Burt Hill, EMBT/ RMJM, Forum Studio/Clayco). Rientra in Italia nel 2008 per avviare ABidea, dedicato alla progettazione e al retrofit. Nel frattempo presta consulenza presso Proger Spa, NeocogitaSrl, collabora con il GBCItalia. Consulente architetto per spazi rigeneranti e formatore di CFP per architetti, è coinvolta anche in attività di ricerca interdisciplinare centrata sulle relazioni tra il comportamento umano e lo spazio costruito. (EBD - Environmental Psychology)

Neuroarchitettura a Scuola : Primi Passi del Protocollo

La Neuro-architettura è una disciplina ancora prevalentemente teorica. Essa si basa su principi di evidenza scientifica per valorizzare le potenzialità osmotiche degli spazi costruiti, cioè per creare ambienti rigeneranti e strumentali per lo svolgimento delle attività ospitate. Purtroppo capita che laddove il confronto interdisciplinare e la ricerca trovano consenso ed entusiasmi, nasce la perplessità su come affrontare la fase successiva, e passare dalle parole ai fatti, per confrontarsi finalmente con un mondo delle costruzioni fatto anche di norme, vincoli e soprattutto pregiudizi.

Il cortile /giardino a sud con la seduta-nastro che collega l’atrio con l’esterno

Il cortile /giardino a sud con la seduta-nastro che collega l’atrio con l’esterno

La progettazione della scuola a Palù (VR) è una occasione ghiotta perché riguarda l’ utenza legata alla fascia dell’età evolutiva,  che è estremamente reattiva agli input dell’ambiente circostante.

Le difficoltà non esitano a presentarsi sin dal primo momento. Le normative nazionali più che le direttive locali dettano vincoli volumetrici, ed il budget si presenta piuttosto contenuto.  L’aspetto positivo? L’entusiasmo e la buona volontà delle architette di Alighieri 50, e di alcuni membri della committenza, che hanno creduto fortemente in una progettazione integrata, mirata ad una qualità esperibile non solo a livello estetico e funzionale, ma in modo più profondo, viscerale e a lungo termine.

Inserimento dell’edificio nel territorio

Inserimento dell’edificio nel territorio

Il contesto territoriale anche rappresenta un punto a favore, poiché assicura una buona qualità dell’aria, una ottima vista del paesaggio e abbondante illuminazione naturale, nel rispetto del ritmo circadiano. Un orto didattico autogestito, il giardino/cortile a sud/ovest e un frutteto privato poco distante sono una ottima fonte di odori e profumi che non solo stimolano l’approccio conoscitivo multisensoriale dei bimbi, ma aiuta nella consapevolezza ambientale.  

Il plesso scolastico, che comprende una sezione elementare ed una materna, rappresenta, a livello territoriale, una grande opportunità anche per arricchire il tessuto sociale, attraverso la politica dell’intersettorialtà e delle sinergie tra le diverse attività comunitarie.

L’approccio progettuale, e quindi la scelta distributiva delle diverse sub-attività, non sono frutto esclusivo di una logica funzionale, ma il risultato di un'analisi approfondita e distinta del comportamento dei bambini, dei docenti e del personale ATA. C’è alla base una volontà di creare aspettative ritmate da sorprese e conferme, e di rispondere all’esigenza di un processo di sviluppo mentale e sensoriale non ancora completo, che per i bimbi più piccoli è solo all’inizio.

L’atrio di ingresso, situato nella sezione elementare ad est, ha richiesto un’attenzione particolare nel dover conciliare il carattere di “spazio rappresentativo polifunzionale” e l’esigenza di ottimizzare l’esperienza per le utenze diverse e nelle diverse occasioni. Esso è preceduto da un ingresso volutamente compresso (l’altezza è ridotta e una luce rossa lo pervade) che aiuta a costruire la giusta aspettativa e quindi l’effetto sorpresa dello stesso.  L’improvvisa dilatazione del volume si armonizza con la luce diffusa proveniente dall’alto, in un gioco di contrasti e di forme più fluide dell’elemento vasca, che lo distingue fortemente dal resto del connettivo. Lo specchio d’acqua, in asse con il cono di luce del lucernario, enfatizza la presenza della natura all’interno, oltre che creare un dialogo diretto con l’esterno grazie alla seduta a nastro che, replicando la stessa curva, guida lo sguardo fuori, fino al giardino a sud.

Scorcio dell'atrio e -da sx - l’accesso alla mensa, l'ingresso, l’area polifunzionale e la reception desk .

Scorcio dell'atrio e -da sx - l’accesso alla mensa, l'ingresso, l’area polifunzionale e la reception desk .

Un’aura di pacata autorevolezza, assolutamente non di autorità, investe quindi lo spazio di accoglienza, come una sorta di manifesto che induce i bimbi più grandi alla consapevolezza del percorso di crescita e di maturità rispetto ai primi anni della scuola materna.

Il senso dell’orientamento, importante quanto l’educazione alle forme, ai colori e alle profondità spaziali, richiede una intelligibilità dell’intero spazio che ne faciliti lo sviluppo. Per questo motivo è stata adottata una geometria di base regolare e semplice, con una percorrenza principale altamente intellegibile anche se mai scontata.  I corridoi, dai colori neutri dall’effetto calmante, vengono in più punti interrotti e dilatati, trasformandosi da luoghi di mero passaggio in opportunità di riflessione autonoma e/ confronto a due, utili per il superamento di quegli occasionali momenti di disagio emotivo. Grazie alla cura del dettaglio offerto da un arredo dedicato e da una illuminazione fatta di fasci luminosi diversamente direzionati (siano essi naturali o non), questi sottospazi riescono a offrire il giusto livello di privacy ed intimità, appartando ma non isolando dal contesto.

Le forme libere dei soffitti e dei pannelli fonoassorbenti offrono indizi di profondità

Le forme libere dei soffitti e dei pannelli fonoassorbenti offrono indizi di profondità

Le aule didattiche sono differenziate tra loro per creare esperienze uniche che, adeguate alla fase di crescita, possano cadenzare il passare del tempo e sedimentare una ricca memoria storica.

Nella sezione materna si ricorre a stimolazioni più forti, grazie all’uso di colori più vivaci e saturi e all’adozione di un impianto planimetrico che rompe gli schemi tradizionali. Cinque lati, e non quattro, aiutano quindi a creare un’esperienza spaziale più articolata.In questa ottica di geometrie libere le altezze dei soffitti sono variabili, e accade che a volte questi ultimi si inclinino in prossimità della finestra, per creare giochi di riflessi inusuali e per stimolare la curiosità. Un gioco di nicchie lungo le pareti, particolarmente ricco nella sala dedicata alle pratiche meditative e al riposo, offre un’esperienza insolita di rifugio che, secondo i principi dei design biofilico, aiuta nella costruzione della fiducia in se stessi esd è risolutiva nei momenti di iperattività.

"Affordance" in architettura

Affordance significa invito

Esiste una forte analogia tra il design degli oggetti ed il design degli spazi, nonostante spesso i due campi di applicazione sembrano appartenere a due modi molto distanti tra loro, a causa di dinamiche economiche e di mercato molto diversi.

Affaccio sul golfo, Certosa San MArtino- NApoli . foto n. de pisapia

Affaccio sul golfo, Certosa San MArtino- NApoli . foto n. de pisapia

 Tale analogia si evidenzia attraverso il concetto di affordance..

Affordance significa invito, cioè  la capacità di capire la relazione che c'è tra l'utente e l'oggetto, nel caso del design del prodotto, oppure tra l'utente e lo spazio, nel caso del design dello spazio.

Nonostante il termine sia diffuso soprattutto nell’ambito del design industriale, il concetto si forma e si sviluppa in considerazione del rapporto tra gli esseri viventi e la natura. Un ciglio di una roccia che si sporge su uno strapiombo ha una sua specifica affordance per noi esseri umani: essa ci comunica di stare attenti e di fermarci, e di assumere determinante posture che non ci mettano a rischio di vita. Per un uccello lo stesso luogo può essere un invito a spiccare il volo per perlustrare la vallata che è oltre.

Il concetto di affordance è costantemente applicato allo spazio costruito in scala architettonica, ma non in modo pienamente consapevole. Esso si applica in modo automatico, attraverso il  perpetrarsi di tipologie validate e confermate nel tempo, a volte con profonda cognizione dei significati insiti,  altre volte (e questo è più il caso degli ultimi decenni) imposte dalle regole di mercato e di tendenze che poco hanno a che fare con le considerazioni sull’effettiva efficacia che i vari fattori spaziali possano avere per la nostra esperienza legata al luogo.  Spesso viene a mancare la consapevolezza del profondo legame che unisce lo spazio alla sua destinazione di uso, la metodologia progettuale rivela tale importante omissione con lo scarso successo dello spazio stesso, in termini di qualità di esperienza di vita e quindi anche di qualità estetica.

Eppure prima che i recenti sistemi di indagine e monitoraggio delle nostre reazioni cerebrali fossero disponibili,  grandi architetti del movimento moderno hanno approfondito queste tematiche e hanno avuto geniali intuizioni. Un esempio sono gli interni di Fallingwater, con i corridoi molto stretti e bassi che collegano le camere della zona notte, le cui dimensioni ridotte rispetto al resto della casa non possono lasciare indifferenti. Tale scelta è il  risultato di un profonda riflessione sulle sensazioni effimere ma profonde che caratterizzano il movimento nel luogo domestico e quindi il modo di percepire e vivere lo stesso, al di là delle considerazioni strettamente fisiche legate all’accessibilità (importantissime ma non le uniche a decretare la buona funzionalità).

ingresso LAtrina a 45 gradi in villa San MArco di Stabia .NA. foto G. Ascione

ingresso LAtrina a 45 gradi in villa San MArco di Stabia .NA. foto G. Ascione

E’ probabile che tale approccio abbia avuto a sua volta influenze dall’architettura greco-romana, nelle scelte progettuali adottate nelle ville fuori città (Villa San Marco di Castellammare di Stabia –nella foto), le quali adottano schemi più liberi, planimetrie e volumetrie fluide a risolvere e rispondere a esigenze molto particolari e più sofisticate. Anche qui infatti si ricorre a dilatazioni e restringimenti dei volumi, geometrie innovative, che rompono con le tendenze e le regole dell’epoca, e sembrano soddisfare egregiamente le aspettative di chi le vive, inviando messaggi sulle azioni da svolgere e sugli stati mentali propedeutici a tali azioni.

Quali indagini affronterebbero gli architetti del passato recente e trapassato se fossero attivi oggi ? Come accoglierebbero la disponibilità di strumenti scientifici capaci di misurare le reazioni psicologiche ed emozionali degli utenti di uno spazio progettato?  Quanti nuovi significati avrebbero creato e validato?

Il concetto di affordance rappresenta un valido strumento per giocare con gli spazi e creare esperienze del luogo molto ricche, perché i suggerimenti e gli inviti a compiere determinati gesti e azioni possono essere reali, ingannevoli, ambigui. L’importante è sapere usare bene il linguaggio spaziale per riuscire in ogni singolo scopo, premesso che la scelta degli scopi sia opportuna, rispettosa del benessere di chi dovrà occupare lo spazio e fatta  in piena libertà rispetto alle tendenze stilistiche e tecnologiche.

La distinzione tra spazio pubblico e privato è fondamentale per la buona riuscita del progetto  e nell’applicazione di questo approccio alternativo. Basti pensare al fattore “navigazione” che, se nel privato induce ad una familiarità del luogo raggiungibile dopo un minimo sforzo mnemonico iniziale, nell’ambito pubblico è causa di stress poiché il rapporto non continuativo con lo spazio non dà tempo alla memorizzazione. In tal caso l’uso e il dosaggio dei segni e significati del progetto sono altri elementi necessari, perché sono un indizio ulteriore al nostro processo cognitivo di interiorizzazione dello spazio. Una maggiore conoscenza e padronanza nell’orientamento si traduce in una maggiore rilassatezza nell’approccio al luogo e di conseguenza un maggiore apprezzamento dello stesso.

foto n. de pisapia

foto n. de pisapia

Non è forse questo che si chiede ai nuovi spazi urbani ?

E non sono anche tutti i fattori sopra considerati elementi necessari a dare credibilità e attrattiva ad un luogo nel lungo termine, dopo che gi effetti di meraviglia e di stupore  - anch’essi importanti e tipici del primo impatto -  si estinguono ?  







La "media" bellezza.

Ci si riempie la bocca con frasi che  descrivono la bellezza e che ne decretano la fondamentale importanza in tutte le cose, che siano processi, soggetti od oggetti. La bellezza è alla base della selezione naturale. La bellezza salverà il mondo.

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La prima frase si capisce, e significa che un indefinito senso di bellezza ha decretato le regole discriminatorie dell'evoluzione. La seconda frase suona invece un po' sibillina e ci respinge nell'abisso e  nel vago, se non altro perché, non potendo prevedere in anticipo le regole del bello, non si riesce a mettere tutti d'accordo sulla direzione da prendere quando si pianifica il futuro, sia esso in termini territoriali (urbanistici e architettonici) , sia esso in termini etici e sociali. Conoscere le meccaniche che rendono esplicito il bello sarebbe la soluzione definitiva.

Piramide del Louvre, Parigi. N.De pisapia

Piramide del Louvre, Parigi. N.De pisapia

In un precedente articolo sulla bellezza, che risale al 21 giugno 2017 , si dice che la scienza non è in grado di capire i meccanismi del nostro giudicare bello qualcosa , ma può dire cosa che succede nel cervello quando ne facciamo esperienza. Conoscere i segreti della bellezza sarebbe impugnare uno strumento prezioso di anticipazione delle nostre reazioni, cosa che ci regalerebbe sapienza senza dover passare necessariamente per l’esperienza.

Dal momento che spesso la realtà ci restituisce scenari molto discutibili, che prevaricano il buon senso ed il buon gusto, proponiamo un gioco, forse infinito, dove ognuno è invitato a dare la propria definizione del bello o anche del non bello. Sono ammesse, anzi ben accette, ovvietà, e concetti indiscutibili. Man mano che si prosegue nel gioco sarà inevitabile passare dall’ ovvio all’ opinabile. L’intento finale è di passare al setaccio tutte le possibili considerazioni e verificarne la fondatezza, come una sorta di reset del nostro modo di percepire il mondo, una epurazione dai preconcetti e condizionamenti legati alla transitorie sottoculture del momento.


farfalla.jpg

Invito tutti a proporredi seguito un postulato e/o un esempio che chiarifichi il concetto espresso da esso. Chissà se questo modo di gamificare ci possa aiutare nella ricerca sempre più raffinata per un metro di giudizio obiettivo, universale e duraturo, che possa fare giustizia del bello sacrificato o del brutto illegittimamente accreditato.

Si parte :

.1. La bellezza è sincronizzazione .

Esempio : l'albero spoglio in inverno è bello, l'albero spoglio in estate è brutto.

2. La bellezza non è il sublime. Se  la percepiamo come tale significa che qualcosa di più grande di noi sta avvenendo e noi ne siamo schiacciati e sacrificati per un nuovo equilibrio.

Esempio: un uragano ci destabilizza

3. La bellezza è efficacia…


Commentate ed il vostro commento/punto sarà inserito nel testo.

Grazie.

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Giusi Ascione

Architetto abilitato dal 1992, LEED Green Associate, con un’esperienza decennale all’estero presso studi di progettazione internazionali (Burt Hill, EMBT/ RMJM, Forum Studio/Clayco). Rientra in Italia nel 2008 per avviare ABidea, dedicato alla progettazione e al retrofit. Nel frattempo presta consulenza presso Proger Spa, NeocogitaSrl, collabora con il GBCItalia. Consulente architetto per spazi rigeneranti e formatore di CFP per architetti, è coinvolta anche in attività di ricerca interdisciplinare centrata sulle relazioni tra il comportamento umano e lo spazio costruito. (EBD - Environmental Psychology)

L'intelligenza naturale e la bellezza artificiale.

La presentazione TED del 2012 di Machael Hansmeyer sulle potenzialità del disegno digitale e programmato  (CAD)  ci lascia ancora oggi  in bilico, in uno  stupore che non sa se trasformarsi in meraviglia , scetticismo o speranza. Dopo alcuni anni possiamo appurare  che la stampa 3d  sia diventata una realtà che rende la riproduzione di forme complesse facile ed immediata. Anche l'intelligenza artificiale, ritornata in auge  grazie a  reinventati algoritmi di apprendimento,  rinnova la fiducia nella sua capacità di garantire prestazioni prima  di pertinenza esclusiva dell’intelligenza umana.  Ma possiamo considerare la stessa intelligenza umana priva di limiti? Essa  non è tuttora  capace di comprendere a fondo i segreti della natura e replicarne la casualità della sua evoluzione, l'armonia e la misura delle cose.  Nonostante ci siano a monte le più nobili intenzioni accade spesso che la progettazione di ambienti complessi e iper-performanti  offra, all'utente, esperienze negative e stressanti. Gli ambienti naturali vincono sempre e comunque su quelli artificiali: come mai?

Michael Hansmeyer crea algoritmi che generano forme affascinanti, con forme e sfaccettature che nessun uomo potrebbe disegnare a mano. Ma queste forme sono realizzabili e potrebbero rivoluzionare il modo in cui noi concepiamo le forme architettoniche.

Se ci fermiamo al fotogramma del minuto 3.50 del video ci troviamo davanti al tipico esempio di mostruosità generata da un algoritmo "andato fuori controllo".  Hansmeyer parla di un effetto visivo riconducibile a quello che rappresenta il rumore nel mondo uditivo. In poche parole si tratta di un processo errato che in natura si concluderebbe con  un aborto del processo stesso. 

La nostra biologia , il nostro essere parte di un ecosistema, stabilisce le regole del nostro rapporto con l'ambiente in cui viviamo. Si tratta di regole che sono  biologiche e anche estetiche, etiche  e sociali. Se una nostra sensazione sia positiva o negativa viene stabilito da una legge di natura che risponde alla stessa che ha forgiato noi esseri umani. La biofilia è una filosofia che sostiene questa legge di natura, che per quanto inafferrabile a tratti, è alla base dell'ipotesi biofilica e del design biofilico,  un criterio di progettazione che analizza e verifica gli aspetti naturali nell'ambiente antropizzato  con il fine di migliorare la qualità dello stesso e della nostra vita. 

Nicola Salingaros, matematico, è un accanito sostenitore del design biofilico ed ha molto da dire su quello che viene stabilita come  giusta misura e armonia dell'effetto estetico delle cose.  Salingaros usa come rifermento il frattale ed il suo grado di complessità , suggerendo  i valori entro i quali ci si sentirebbe al sicuro da stimolazioni percettive, tanto da farle risultare né monotone, e quindi poco stimolanti, né fastidiose e quindi stressanti. Un frattale codifica strutture geometriche su diversi livelli e non ci sono preferenze sulle scale. 

colonne generate da algoritmi  e stampate

colonne generate da algoritmi  e stampate

Tutti i tessuti organici hanno strutture geometriche di base che si ripropongono in modo similare tra loro e legano tra di loro gli umani, gli animali, le piante e quindi i paesaggi. In questa sorta di similitudine si stabilisce tra tutti gli elementi naturali una sorta di "Comunicazione Subliminale", cioè un'attrazione verso i segni densi di significato che risultano  in un senso di piacevolezza e di benessere diffuso senza esserne consapevoli. Se questo concetto risulta intuibile  con l'esperienza visiva, va fatto lo sforzo di applicare lo stesso a tutti gli altri sensi, dal momento che il principio non cambia. Possiamo quindi creare categorie di suoni, tessiture, odori che siano  legate ad esperienze piacevoli, che incontrino la nostra positiva predisposizione. 

A questo punto, ritornando alla performance della generazione algoritmica della colonna mostrata nel video, viene da porsi la seguente domanda: Come si può controllare e gestire il processo creativo artificiale per ottenere un esito finale che possa essere definito non solo universalmente accettabile, ma anche equo, opportuno, conveniente ?   Ma soprattutto c'è da chiedersi se il nostro senso di bello e di armonico  possa evolvere nel tempo in quella sorta di evoluzione epigenetica che sicuramente è già in atto, e che ci potrebbe adattare ad un nuovo ordine delle cose ed educarci ad esperienze spaziali non necessariamente riconducibili ad archetipi naturali, ma controllati da un'intelligenza non più umana.   

Queste considerazioni  creano un'impasse, ma una riflessione su come sono evoluti gli strumenti tecnologici negli ultimi millenni potrebbe aiutare ad uscirne fuori. Il disegno e la tecnica costruttiva hanno sempre rappresentato forme  creative che delegavano l'esecuzione a strumentazioni esterne al nostro corpo, gradatamente sempre più distanti da esso, dalla matita al CAD, dal martello alla stampante. Eppure altrettanto gradualmente il nostro cervello si è adattato al nuovo creare e al nuovo creato con piccoli traumi che sono stati molto bene recuperati.

HAL nel film "2001 Odissea nello spazio" 

HAL nel film "2001 Odissea nello spazio" 

C'è un'atavica  paura della possibile  perdita di controllo sulla macchina, espresso attraverso varie forme di arte come la letteratura ed il cinema. Il film cult  "2001 Odissea nello spazio" è una  favola apocalittica sul destino dell'umanità, la cui  identità risulta diversa dal resto della natura. La storia parla di una missione su Giove in cui un computer (HAL)  si trasforma da strumento affidabile di supporto a  terribile nemico dell'ultimo uomo superstite, e cerca di toccare problematiche antichissime relativa all'identità della natura umana, al suo destino, e al ruolo della conoscenza e della tecnica. La favola però si conclude bene, e non perché la mente umana riesca a sedare la ribellione e l'intraprendenza di quella  artificiale, ma  perché  a monte di questo apparente conflitto uomo-macchina si scopre esserci la volontà dell'uomo stesso (dei responsabili della missione) a stabilire delle priorità sbagliate, in conflitto con la propria  sopravvivenza.