Una nuova tassonomia per cogliere la complessità dell'esperienza spaziale

Da tempo si parla di semantica degli spazi, ma spesso ci si limita a un vocabolario semplice e riduttivo rispetto alle concrete esigenze di rappresentare il fenomeno complesso del vivere un ambiente. Esperire un luogo costruito, oltre che uno naturale, significa recepire una sequenza di suggerimenti o comandi impliciti da un contesto specifico, ma anche dialogare con una situazione che oscilla tra equilibri instabili, influenzata dall’interazione con altre persone. Non si tratta solo di ascolto, ma di un dialogo osmotico, tanto più complesso quanto più si vogliono cogliere le sottili sfumature dell’esperienza e le sensazioni soggettive, spesso effimere.

Diventa necessario elaborare una nuova tassonomia, un vocabolario più ricco e sfumato, capace di descrivere questi fenomeni. Solo un linguaggio più espressivo e sofisticato può restituire una maggiore consapevolezza dell’esperienza, facilitando una lettura più obiettiva dei fenomeni reali di causa ed effetto. Non si tratta solo di modulare colori, luci, suoni e proporzioni—elementi che già evidenziano la complessità del rapporto tra spazio e utente—ma di considerare anche altre caratteristiche spaziali più sottili. Queste includono le sinestesie, il tempo e le modalità con cui viene percepito, fino ad arrivare alle esperienze più mistiche e trasformative, spesso evocate dall’interazione con l’arte.

Foto di G.Ascione

Le persone, in generale, non hanno una chiara comprensione di come desiderano vivere uno spazio o di come effettivamente lo vivono. Gli adulti non sono così diversi dai bambini, che sappiamo osservare in modo più critico, e questi ultimi, a loro volta, non sono poi così distanti dalle piante, con il loro istinto a decodificare i luoghi, a interagirvi per migliorarsi e, semplicemente, per vivere. Questo istinto di sopravvivenza, un processo osmotico di cui sopra, è sempre meno considerato nell’architettura contemporanea. Tale disattenzione si accompagna a una mancanza di linguaggio adeguato, una sintassi che possa meglio relazionare ruoli semantici fondamentali per interpretare correttamente i significati spaziali e le loro relazioni.

Analizzare lo spazio architettonico con una scala valoriale nuova è una sfida che coinvolge numerosi gruppi di lavoro, interessati a progettare spazi funzionali e rigeneranti. L’obiettivo è sviluppare una metodologia capace di cogliere, in modo completo, le influenze dei fattori spaziali, osservandoli soprattutto nella loro accezione psicologica e cognitiva. La nuova semantica dello spazio non sceglie più luci, colori e forme in modo arbitrario o legato a un mood generico, ma guida un processo progettuale inverso, che parte dall’utente e dalle infinite possibili influenze del contesto sulle sue condizioni.

Il segreto è sviluppare un linguaggio che parli contemporaneamente ai due mondi, quello spaziale e quello umano, rendendo possibili confronti, relazioni causa-effetto e interpretazioni chiare, riducendo al minimo l’arbitrarietà. Ad esempio, un ingresso rasserenante in un ufficio istituzionale può bilanciare il timore di un visitatore che entra per la prima volta, così come una sala ambulatoriale “intima” e nel contempo “leggera” può mediare la mancanza di empatia di un medico. Definire un ingresso rasserenante o una sala empatica non richiede una rivoluzione culturale, ma un nuovo vocabolario per descrivere e catalogare l’architettura.

Alcuni architetti del secolo scorso, come Juhani Pallasmaa, hanno già da tempo introdotto termini come architettura aptica e architettura aurale, evidenziando come l’esperienza spaziale sia profondamente legata a percezioni sensoriali complesse. Tuttavia, questi termini, seppure ricchi di significato, sono spesso ridotti a definizioni tecniche: aptico è usato in riferimento alle interfacce digitali, mentre aurale è limitato ad esprimere un attributo legato al senso dell’udito.

In realtà, l’esperienza aptica in architettura è un prodotto finale dell’elaborazione sensoriale da parte dell’intero organismo rispetto al mondo esterno. Non si limita al tocco, ma coinvolge una dimensione esplorativa e coinvolgente, profondamente emotiva. La sensazione tattile, ad esempio, può essere percepita anche senza il contatto diretto, tramite l’aspettativa suscitata dalla vista di una texture o di un materiale, innescando un’esperienza intensa e corporea (teoria dell’embodiment).

Allo stesso modo, l’architettura aurale si distingue dall’acustica. Comprende l’interazione di superfici, geometrie e oggetti con il suono, considerando anche le risposte emotive e fisiche che tali ambienti generano. Spesso, il paesaggio sonoro si forma in modo casuale, con effetti positivi o negativi non intenzionali.

dal web

Creare una nuova tassonomia per descrivere questi livelli esperienziali superiori, insieme a un arricchimento del vocabolario derivato da un processo di discretizzazione—ossia la frammentazione e l'analisi dei momenti esperienziali—può offrire una lente d’ingrandimento sulla realtà, consentendo di coglierne tutte le potenzialità espressive e di interazione. Anche se la soluzione ideale potrebbe non esistere, un approccio del genere permetterebbe di comprendere e controllare meglio gli effetti collaterali, ovvero le reazioni fisiche ed emotive e quelle percezioni vaghe ma influenti che spesso sfuggono a una classificazione precisa.

Questa nuova sintesi, capace di integrare sensazioni, storie, ricordi e condizionamenti culturali, aprirebbe la strada a un’architettura più consapevole, umana e relazionale, capace di dialogare con chi la vive attraverso un linguaggio più ricco e sfumato.