Architettura delle scelte nelle architetture dello spazio

Qual è la relazione tra Nudging e Architettura?

La tecnica del nudge, cioè della persuasione a prendere determinate scelte piuttosto che altre, è molto spesso applicata in un contesto ambientale, pertanto si interfaccia con le discipline legate alla progettazione degli spazi .

Da non confondere assolutamente con le tecniche di manipolazione del comportamento, il nudging rappresenta un aiuto al processo decisionale dell’utente, il quale è consapevole e concorde sul raggiungimento di un obiettivo prefissato. Il premio nobel Richard Thaler , insieme al suo collega Cass Sustein, attribuiscono a questa tecnica un carattere paternalistico-libertario, una terminologia che, per quanto possa risultare un ossimoro, esprime sinteticamente i valori sottintesi che possono legittimarla.

Immagine da teachable

Quando il nudging si applica al design di ambienti istituzionali esso esprime la sua vera potenzialità e legittimità, perché è qui mirato al fine nobile che riguarda il benessere dell’individuo e della comunità a cui egli appartiene. Il dibattito sulla legittimità si accende quando si applicano le stesse tecniche agli spazi commerciali, come i supermercati, dove l’utente percepisce l’intento manipolatorio, e cioè quando avverte di essere dirottato su determinati acquisti piuttosto che altri. Ma anche in quest’ultimo caso il concetto di liberalità è salvo se si rispettano tre principi base che legittimano “la spinta gentile , e cioè la trasparenza, il carattere facoltativo, ed il valore pubblico. Il valore pubblico sussiste quando gli interventi strategici sono finalizzati all’adozione di stili di vita salubri, e nel caso del supermercato varrebbe la spinta all’acquisto di cibi sani.

E’ piuttosto sorprendente che bisogna ricorrere a espedienti di psicologia comportamentale per condurre l’utente alle scelte più virtuose, ma purtroppo la colpa è del nostro complesso cognitivo, che non è un sistema coerente ed organico. Le nostre scelte non sono sempre razionali perché abbiamo l’istinto a prendere scorciatoie e a subire i condizionamenti che derivano dall’emozione, dall’interazione sociale e dal contesto ambientale. Tali impulsi minano il comportamento più coerente anche quando ci si trova davanti ad una persuasione in linea con gli interessi dell’individuo.

Schema esplicativo delle 4 categorie di nudge. Tipo 1 (Riflessivo) e Tipo 2 (Automatico). Trasparente/ Esplicito e Non Trasparente/Implicito

Quando però l’approccio diventa troppo educativo si corre il rischio di innestare un atteggiamento di ribellione “adolescenziale” che può evolversi in posizione complottista, di sfiducia perfino nei confronti di prove scientifiche.

Lo schema sovrastante esprime le 4 principali classificazioni rispetto ad un intervento di persuasione. Difficile dire a priori quale categoria sia la più giusta ed efficace, perché spesso essere espliciti (trasparenti) non fa raggiungere importanti obiettivi voluti, come nel caso della segnaletica stradale che impone il limite di velocità, lungo il River Shore Drive a Chicago (vedi foto e nota in fondo).

La progettazione delle architettura degli spazi e delle scelte (e qui sono due competenze che devono collaborare) esprime inevitabilmente il punto di vista di chi redige la strategia , e per questo è fondamentale capire quanto l’organo decisore sia stimato e legittimato. Certamente l’intervento è percepito diversamente a seconda che lo stratega sia il Ministero della Salute oppure un privato, quale una organizzazione lavorativa. La seconda deve fare uno sforzo ulteriore per legittimare il suo intervento, la sua sfida è più difficile, ed è fondamentale analizzare le caratteristiche contestuali ed i frame comportamentali che le caratterizzano per stilare una strategia di successo.

In ogni caso, anche in contesti facili, cioè in condizioni di alta eticità e forte motivazione, non si può pretendere che il nudging sia l’unico strumento per la trasformazione, ma piuttosto deve essere inteso come un modo per massimizzare l’impatto di più misure prese, tra cui gli incentivi e i mandati.

Le strategie adottabili , che fanno tesoro delle conoscenze di psicologia e delle scienze cognitive, sono innumerevoli e vanno valutate caso per caso. Si può spingere alla scelta di un percorso perché questo assicura una esperienza più piacevole, perché può facilitare la risoluzione di problemi periferici, perché può garantire un vantaggio o, molto meglio, può garantire il mantenimento del vantaggio già acquisito (l’avversione per le perdite è maggiore rispetto al non raggiungere una vittoria).

Tutto queste strategie, infinite quanto lo sono i processi cognitivi che gli psicologi e gli scienziati cognitivi conoscono bene, si traducono facilmente in scelte progettuali dello spazio, che il designer può mettere in campo a partire dall’impostazione dei percorsi, dalle scelte delle rifiniture, e nelle gerarchie dei sottospazi.

Il successo è garantito se ad un buon design-thinking e ad una consulenza specifica si unisce un’ottima tecnica creativa. E poco importa se non si registra una totale partecipazione degli utenti, perché alla fine è l’impatto sociale, più di quello individuale, che conta maggiormente.

River Shore Road di Chicago (vedi nota*)

NOTA* Il lago Michigan è un esempio di nudging applicato a scale più grandi della progettazione degli spazi, quali la pianificazione del territorio. La strada che lo costeggia è panoramica ma presenta una serie di curve pericolose. Siccome molti autisti all’inizio non prestavano attenzione al limite di velocità segnalato la città ha adottato un nuovo modo per incoraggiare i conducenti a rallentare. Una serie di strisce bianche dipinte sulla strada che non sono dossi di velocità ma semplicemente inviano un segnale visivo ai conducenti. Quando le strisce compaiono per la prima volta, sono distanziate uniformemente, ma quando i conducenti raggiungono la parte più pericolosa della curva, le strisce diventano più ravvicinate, dando la sensazione che la velocità di guida sia in aumento e innescando l'istinto naturale a rallentare.

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Giusi Ascione

Architetto abilitato dal 1992, LEED Green Associate, con un’esperienza decennale all’estero presso studi di progettazione internazionali (Burt Hill, EMBT/ RMJM, Forum Studio/Clayco). Rientra in Italia nel 2008 per avviare ABidea, dedicato alla progettazione e al retrofit. Nel frattempo presta consulenza presso Proger Spa, NeocogitaSrl, collabora con il GBCItalia. Consulente architetto per spazi rigeneranti e formatore di CFP per architetti, è coinvolta anche in attività di ricerca interdisciplinare centrata sulle relazioni tra il comportamento umano e lo spazio costruito. (EBD - Environmental Psychology)

Design Biofilico. Tra scienza, neuroscienza e pseudoscienza

La neuroarchitettura è nota come campo interdisciplinare che si basa sulla collaborazione tra design e fondamenti di neuroscienza. Tale connubio suscita perplessità quando si fa riferimento al design biofilico. Il termine “biophilia” (riporto il termine in inglese poiché diffuso dopo la pubblicazione del libro omonimo nel 1984, del biologo statunitense Edward O. Wilson) sottende, nella etimologia della parola, più un significato filosofico/letterario piuttosto che un rigore scientifico, perché fa riferimento a quella forza attrattiva, non ancora completamente spiegata, che gli uomini sentono nei confronti della natura e delle sue manifestazioni.  Tale amore per l’ambiente naturale ci fa percepire come gradevole tutto ciò che vi appartiene, e si giustifica con il fatto che noi ci siamo evoluti strutturalmente, cognitivamente, ed emotivamente in esso.

Spesso si considera la biofilia solo dal punto di vista percettivo, cioè come apprezzamento estetico che in qualche modo ci tira su il morale e ci rende più contenti. In realtà biofilia intende l’affiliazione del genere umano a tutto ciò che è espressione della natura, anche qualcosa che va oltre il mero apprezzamento dei sensi. Questa più allargata definizione risulta inevitabilmente più vaga , meno rigorosa scientificamente e più vicina all’ambito del fenomenologico, nonostante la ricerca continui costantemente a sostenere e a validare l’assioma di partenza. Infatti aumentano le scoperte che evidenziano i meccanismi biologici per cui noi esseri umani reagiamo positivamente a livello fisiologico oltre che psicologico a determinate stimolazioni  del mondo naturale, legittimando la validità dell’ipotesi biofilica.

Una revisione sistemica del 2018 ha rilevato che il tempo trascorso in natura porta benefici ad ampio raggio. Sono stati registrati infatti miglioramenti della pressione sanguigna, ed esiti positivi correlati al cancro e diabete di tipo 2. Adulti che hanno trascorso almeno 10 minuti all'aperto e per tre volte a settimana hanno registrato un calo di quasi il 20% del cortisolo, l'ormone dello stress.

E adesso la pandemia non fa che confermare l’inequivocabilità di questi benefici.

L’esistenza di patologie, che sicuramente esistono ma contraddistinguono solo la piccola minoranza della popolazione mondiale, non è certamente una motivazione di alcuni insuccessi. Esiste infatti una lunga lista di malattie - ignote per la maggior parte -  le quali testimoniano casi di profonda avversione nei confronti di alcuni fenomeni o elementi in natura, che al contrario sono comunemente riconosciuti come rigeneranti e benefici dalla stragrande maggioranza delle persone.  

Siamo abituati a sentire parlare di entomofobia (paura degli insetti), o ancor di più dell’aracnofobia (paura dei ragni) , per le quali la persona va nel panico al punto tale da rifiutarsi di uscire di casa. Ma esistono altri casi meno noti quali l'anablefobia.  Chi ne soffre non ha nessuna intenzione di sdraiarsi sulla schiena ad osservare il cielo stellato perché ha paura di guardare in alto: molti legano questo tipo di fobia al terrore verso l'ignoto e all'insignificante presenza dell'uomo nella vastità dell'universo, mentre altri la vivono combinata alla paura per la gravità, che li porta a pensare che saranno schiacciati. Ancora più sconvolgente ed incredibile risulta l’antrofobia, il terrore dei fiori, forse indotto dal terrore degli insetti che gravitano attorno ai fiori o dalle malattie che potrebbero veicolare.

Queste sono le classiche eccezioni, che sottendono particolari traumi non superati e interiorizzati, ma che confermano la regola. La regola è che, a livello percettivo, gli elementi di uno spazio che replicano caratteristiche della natura o che ne facciano parte, rendono la nostra esperienza piacevole e ci marcano come affiliati alla natura.

Ma qual è il significato profondo di questo sentirci affiliati?   

Esso non si distacca troppo dal concetto legato al senso di appartenenza ad una comunità, ad un’associazione. Quindi sentirsi affiliati a tutto ciò che è natura significa sentirsi parte del mondo, organico e anche inorganico, purché costituente il sistema, rispettando le regole di convivenza ed evitando gerarchizzazioni e classificazioni artificiose.  

Il design biofilico si fa promotore di principi che vanno oltre il perseguimento della bellezza legata al compiacimento estetico e sensoriale, proponendo un approccio che vuole allontanarsi dall’antropocentrismo. L’obiettivo è, sì assicurare benessere all’individuo attraverso il godimento di stimoli sensoriali piacevoli, ma è anche e soprattutto perseguire altri valori, quali la verità, la coerenza,  la giustizia. Tali valori sono esprimibili  attraverso il giusto dosaggio di parametri spaziali capaci di modulare le aspettative dell’occupante e le sue reazioni emotive. D’altra parte anche le fobie, pur nella loro negativa interpretazione del creato, tendono a dare significati a certi fenomeni e presenze che vanno oltre l’apprezzamento estetico ma ne interpretano i significati ed i messaggi nascosti, e quindi esistenziali.

I pregiudizi diffusi sul nuovo approccio conducono al fraintendimento del concetto base di biofilia e inducono alla trappola del greenwashing – qui declinato nel contesto architettonico e non della green economy-  cioè quella tendenza ad agire in modo superficiale e semplicistico che, senza un’attenta lettura del contesto spaziale, ritiene che il mero inserimento di piante sia sufficiente a migliorarne la qualità.

La solitudine delle piante ornamentali

 Specialmente nella piccola scala di intervento dell’interior design notiamo che le macchie di verde stentano a lasciare un segno profondo nella nostra esperienza spaziale. Pareti verdi incorniciate a mo’ di quadro, oppure piante dalle chiome più rare e stupefacenti, rispondono a layout geometrici e a cure degne di esposizione museale. Il verde viene inserito senza alcuna considerazione della sua potenzialità comunicativa e biologica, e viene ridotto ad elemento di riempimento di angoli dimenticati in fase di progettazione.  

La natura reale diventa un surrogato di se stessa, e per quanto si possa asserire che anche in forma surrogata la natura possa avere effetti rigeneranti, la forzata declassazione di ciò che è autentico (effetto di greenwashing appunto) finisce per togliere credito alle reali potenzialità di questo nuovo paradigma progettuale. Il progetto biofilico quindi viene relegato alla condizione di pseudoscienza, nonostante il progressivo contributo del metodo scientifico, che si sforza di emancipare tale disciplina dalla sua parvenza di semplice indagine fenomenologica.

Extraordinary claims require extraordinary evidence
— Carl Sagan

"Affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie". Questa è una famosa frase di Carl Sagan, astrofisico di fama mondiale, che dà bene il senso della fatica che la ricerca in questo ambito deve affrontare per legittimare il percorso, nonostante i risultati continuano ad esserci.

La pratica del “Bagno nelle foreste” (Shinrin-Yoku”), diffusa in Giappone sin  dal 1982, ritiene altamente benefico il profondo contatto con specifiche foreste. Ad oggi si contano nell’isola ben 62 boschi certificati che sono riconosciuti di provvedere al rilascio di fitocidi, i quali che abbassano la pressione sanguigna, aumentano la produzione di cellule natural killer (NK) e migliorano l'umore. La diffusione di tale pratica fuori dall’Asia è massima in USA. Qui è promossa a rango di vero e proprio protocollo  medico, anche se solo in un ambito ristretto, cioè nei centri di trattamento per traumi militari.

Quali effetti porterà la "The Tree Path" di Sabbioneta? (crediti CRA)

Il vero e definitivo successo di tali pratiche innovative è possibile solo attraverso la comprensione dei legami tra benessere personale, comunitario ed ecologico. Senza la sinergia della struttura fisica, delle emissioni biochimiche e della narrativa sociale, (cosa che si è verificata naturalmente in Giappone) risulta difficile comprendere e diffondere la pratica nella sua complessità, completezza ed efficacia.

Queste sarebbero le ragioni per cui la pandemia è risultata una esperienza fondamentale per legittimare alcuni assiomi secondo i quali la natura non solo determina la riduzione dello stress, restaura l'attenzione, ma è un esempio di come l'esperienza della bellezza sia collegata con la generosità e la gentilezza, legittimando la teoria della scrittrice e filosofa Iris Murdoch, secondo cui questo profondo legame con la natura spiegherebbe il fenomeno per cui è più probabile che le persone salutino lungo i sentieri in natura che in altre parti della città.

 L’insuccesso, o meglio le difficoltà che incontra anche la  green economy e tutto l’apparato a sostegno della transizione energetica, probabilmente sta nell’incompletezza della sua visione.  Questo movimento ha come obiettivo il risparmio delle risorse del pianeta e uno sviluppo economico sostenibile, che assicuri un futuro agli abitanti della terra e in primis all'uomo. Ma qui il concetto di biophilia non è centrale, o perlomeno non lo è ancora.

Prende il sopravvento l’idea di dover domare e gestire le leggi che governano il sistema, piuttosto che far prevalere la presa di coscienza di esserne parte e di dover sottostare alle sue leggi. Il risultato è un senso di frustrazione per un meccanismo rigenerativo che stenta a partire.

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Giusi Ascione

Architetto abilitato dal 1992, LEED Green Associate, con un’esperienza decennale all’estero presso studi di progettazione internazionali (Burt Hill, EMBT/ RMJM, Forum Studio/Clayco). Rientra in Italia nel 2008 per avviare ABidea, dedicato alla progettazione e al retrofit. Nel frattempo presta consulenza presso Proger Spa, NeocogitaSrl, collabora con il GBCItalia. Consulente architetto per spazi rigeneranti e formatore di CFP per architetti, è coinvolta anche in attività di ricerca interdisciplinare centrata sulle relazioni tra il comportamento umano e lo spazio costruito. (EBD - Environmental Psychology)

Interior Design, gioco di sponda per la trasformazione comportamentale

Credo sia legittimo paragonare il design di interni al gioco di sponda, con criteri e strategie molto simili a quelle adottate nel gioco del biliardo, o delle bocce. Fare sponda significa appoggiare, facilitare una determinata azione, e in ambito della progettazione di interni, vuol dire aiutare le persone a migliorare la loro esperienza legata all’ambiente specifico, e quindi creare luoghi che facilitano le attività legate alla loro specifica funzione, spazi responsivi alle interazioni degli utenti

Lo spazio costruito e il gioco di sponda.  (Img  G. Ascione)

Lo spazio costruito e il gioco di sponda. (Img G. Ascione)

Non pensiate che la digitalizzazione sia l’unica via da seguire per creare di un ambiente interattivo e responsivo, anzi. Le interferenze a livello percettivo, che utilizzano le dinamiche psicologiche, si esprimono maggiormente con le geometrie, con la disposizione degli arredi, con i tipi di illuminazione.

La neuroarchitettura impone un modello progettuale capace di creare le sponde, cioè quelle interazioni tra l’utente e l’arredo che incanalano la persona verso nuovi comportamenti, e fa percepire “il rimbalzo” come una sorta di naturale flusso da seguire e non come coercizione.

Se ci guardiamo attorno notiamo che esistono da sempre alcuni elementi architettonici che assolvono a questo compito, anche se, il fatto che essi siano protagonisti delle nostre esperienze di vita da oltre un millennio, non ci rende consapevoli della loro efficacia.

I corridoi stretti e lunghi, per esempio, già presenti nelle antiche strutture greco-romane, non lasciano molto spazio a scelte alternative se non quella di percorrerli in tutta la loro lunghezza senza poter cambiare la traiettoria. Certo si può fare dietro front, ma non avrebbe senso.

Quanto detto serve a riconoscere il nuovo ruolo del designer che sembra investito di una responsabilità e funzione sociale che va ad aggiungersi alla funzione di organizzare spazi e restituire gusto estetico. Di questa nuova valenza professionale non c’è ancora piena consapevolezza, e la diffusa cultura del costruito fa molta fatica a riconoscere la necessità di coinvolgere questa competenza nel team di progetto.

Immagine da www.positivemindfulleader.com

Immagine da www.positivemindfulleader.com

Per fortuna non mancano in giro esempi di buona architettura, quella per cui il valore aggiunto non è tangibile nell’immediato, ma è percepito nella iterazione dell’esperienza e quindi nel tempo. Si tratta di realizzazioni che hanno coinvolto conoscenze trasversali, del campo della psicologia e fisiologia, grazie alle quali l’artefatto ha acquisito una sorta di organicità e dinamicità finora poco presenti.

Consideriamo, per esempio, la progettazione dei bagni in una scuola elementare, e supponiamo che l’incarico non riguardi semplicemente la realizzazione di un contesto per lavarsi le mani, ma richieda di perseguire l’obiettivo di abituare i bimbi di età prescolare a lavarsi le mani ogni qualvolta utilizzano la toilette. Supponiamo anche che i bimbi abbiano radicato in loro la percezione che questa abitudine rappresenti una inutile perdita di tempo. Come fare?

Creare dei lavabi con rubinetti accessibili e a misura di bimbo sicuramente è il punto di partenza. Un remainder sulla parete potrebbe essere efficace ma mancherebbe la componente essenziale: la motivazione interna a compiere quel gesto. Anche se ci fosse un adulto sempre presente a sottolineare l’importanza e l’utilità del gesto non si lavorerebbe sulla motivazione. Una ricompensa ripetuta, espressa da una simpatica faccina che compare sullo specchio, potrebbe invece funzionare laddove è impossibile indurre un convincimento. Alla lunga l’atto di lavarsi le mani diventerebbe automatico e quindi acquisito come naturale e imprescindibile.

Per comprendere quali possono essere le dinamiche per assicurare il successo dell’intervento bisogna capire dove si colloca la difficoltà dell’iniziativa. Cominciare qualunque cosa nuova rappresenta un momento importante, che richiede una forte energia di spinta a causa di una inerzia mentale intrinseca, che limita la nostra capacità di intraprendere nuovi percorsi e farceli propri. Il fattore paura, a livello inconscio, è sempre lì pronto a metterci a disagio.

La progettazione degli spazi quindi può aiutare ad un rapido debug del disco rigido mentale, indispensabile per imparare, disimparare e imparare di nuovo, e quindi facilitare il cambiamento. In questa situazione è fondamentale intervenire nutrendo il nostro cervello con pensieri affermativi, mai negativi. La coercizione, che la segnaletica dei divieti esprime, non crea il sopracitato debug, ma aumenta la paura e lo stress, e decreta l’insuccesso del cambiamento richiesto e dell’accettazione del nuovo.

Ma cosa significa creare risposte affermative in uno spazio?

Significa incoraggiare piuttosto che negare, attraverso una politica della ricompensa legata alla scelta virtuosa. E’ ormai conoscenza diffusa la strategia del nudge usata nelle lobby degli edifici, dove l’ascensore è ben nascosta alla vista degli utenti esterni in modo da stimolare l’uso delle scale attraverso un design delle stesse piuttosto attraente. Tale scelta è ritenuta la migliore perché favorisce il movimento e quindi il fitness cardiocircolatorio. Si tratta di un esempio banale, che nel tempo ha cercato di adottare sempre nuove soluzioni, come quello di ricorrere a feedback sonori o visivi gradevoli, che ripagassero della scelta virtuosa fatta, oltre che suggerirla in modo discreto e gentile.

La Metropolitana di Odenplan a Stoccolma

Il meccanismo della ricompensa ha il suo risvolto negativo di cercarne e di aspettarne sempre una nuova, ma questo non rappresenta un problema nel nostro caso. Sia per il caso dei bambini a scuola, che per gli utenti degli edifici pubblici, l’obiettivo non è generare continuo stupore o sorpresa (ben venga anche quella), quanto piuttosto creare una buona abitudine. La ripetizione di un atto, che sia all’inizio recepito come nuovo e che richiede un atto di volontà più o meno dispendioso, porta alla acquisizione dell’automatismo che alleggerisce il carico sia a livello mentale che a livello motorio (fisico - propriocettivo).

In questo periodo di grande cambiamento culturale che esige l’affermazione di stili di vita più salubri, è importante considerare la progettazione architettonica un potente ed efficace strumento di trasformazione politica e sociale.





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Giusi Ascione

Architetto abilitato dal 1992, LEED Green Associate, con un’esperienza decennale all’estero presso studi di progettazione internazionali (Burt Hill, EMBT/ RMJM, Forum Studio/Clayco). Rientra in Italia nel 2008 per avviare ABidea, dedicato alla progettazione e al retrofit. Nel frattempo presta consulenza presso Proger Spa, NeocogitaSrl, collabora con il GBCItalia. Consulente architetto per spazi rigeneranti e formatore di CFP per architetti, è coinvolta anche in attività di ricerca interdisciplinare centrata sulle relazioni tra il comportamento umano e lo spazio costruito. (EBD - Environmental Psychology)