Design Biofilico. Tra scienza, neuroscienza e pseudoscienza

La neuroarchitettura è nota come campo interdisciplinare che si basa sulla collaborazione tra design e fondamenti di neuroscienza. Tale connubio suscita perplessità quando si fa riferimento al design biofilico. Il termine “biophilia” (riporto il termine in inglese poiché diffuso dopo la pubblicazione del libro omonimo nel 1984, del biologo statunitense Edward O. Wilson) sottende, nella etimologia della parola, più un significato filosofico/letterario piuttosto che un rigore scientifico, perché fa riferimento a quella forza attrattiva, non ancora completamente spiegata, che gli uomini sentono nei confronti della natura e delle sue manifestazioni.  Tale amore per l’ambiente naturale ci fa percepire come gradevole tutto ciò che vi appartiene, e si giustifica con il fatto che noi ci siamo evoluti strutturalmente, cognitivamente, ed emotivamente in esso.

Spesso si considera la biofilia solo dal punto di vista percettivo, cioè come apprezzamento estetico che in qualche modo ci tira su il morale e ci rende più contenti. In realtà biofilia intende l’affiliazione del genere umano a tutto ciò che è espressione della natura, anche qualcosa che va oltre il mero apprezzamento dei sensi. Questa più allargata definizione risulta inevitabilmente più vaga , meno rigorosa scientificamente e più vicina all’ambito del fenomenologico, nonostante la ricerca continui costantemente a sostenere e a validare l’assioma di partenza. Infatti aumentano le scoperte che evidenziano i meccanismi biologici per cui noi esseri umani reagiamo positivamente a livello fisiologico oltre che psicologico a determinate stimolazioni  del mondo naturale, legittimando la validità dell’ipotesi biofilica.

Una revisione sistemica del 2018 ha rilevato che il tempo trascorso in natura porta benefici ad ampio raggio. Sono stati registrati infatti miglioramenti della pressione sanguigna, ed esiti positivi correlati al cancro e diabete di tipo 2. Adulti che hanno trascorso almeno 10 minuti all'aperto e per tre volte a settimana hanno registrato un calo di quasi il 20% del cortisolo, l'ormone dello stress.

E adesso la pandemia non fa che confermare l’inequivocabilità di questi benefici.

L’esistenza di patologie, che sicuramente esistono ma contraddistinguono solo la piccola minoranza della popolazione mondiale, non è certamente una motivazione di alcuni insuccessi. Esiste infatti una lunga lista di malattie - ignote per la maggior parte -  le quali testimoniano casi di profonda avversione nei confronti di alcuni fenomeni o elementi in natura, che al contrario sono comunemente riconosciuti come rigeneranti e benefici dalla stragrande maggioranza delle persone.  

Siamo abituati a sentire parlare di entomofobia (paura degli insetti), o ancor di più dell’aracnofobia (paura dei ragni) , per le quali la persona va nel panico al punto tale da rifiutarsi di uscire di casa. Ma esistono altri casi meno noti quali l'anablefobia.  Chi ne soffre non ha nessuna intenzione di sdraiarsi sulla schiena ad osservare il cielo stellato perché ha paura di guardare in alto: molti legano questo tipo di fobia al terrore verso l'ignoto e all'insignificante presenza dell'uomo nella vastità dell'universo, mentre altri la vivono combinata alla paura per la gravità, che li porta a pensare che saranno schiacciati. Ancora più sconvolgente ed incredibile risulta l’antrofobia, il terrore dei fiori, forse indotto dal terrore degli insetti che gravitano attorno ai fiori o dalle malattie che potrebbero veicolare.

Queste sono le classiche eccezioni, che sottendono particolari traumi non superati e interiorizzati, ma che confermano la regola. La regola è che, a livello percettivo, gli elementi di uno spazio che replicano caratteristiche della natura o che ne facciano parte, rendono la nostra esperienza piacevole e ci marcano come affiliati alla natura.

Ma qual è il significato profondo di questo sentirci affiliati?   

Esso non si distacca troppo dal concetto legato al senso di appartenenza ad una comunità, ad un’associazione. Quindi sentirsi affiliati a tutto ciò che è natura significa sentirsi parte del mondo, organico e anche inorganico, purché costituente il sistema, rispettando le regole di convivenza ed evitando gerarchizzazioni e classificazioni artificiose.  

Il design biofilico si fa promotore di principi che vanno oltre il perseguimento della bellezza legata al compiacimento estetico e sensoriale, proponendo un approccio che vuole allontanarsi dall’antropocentrismo. L’obiettivo è, sì assicurare benessere all’individuo attraverso il godimento di stimoli sensoriali piacevoli, ma è anche e soprattutto perseguire altri valori, quali la verità, la coerenza,  la giustizia. Tali valori sono esprimibili  attraverso il giusto dosaggio di parametri spaziali capaci di modulare le aspettative dell’occupante e le sue reazioni emotive. D’altra parte anche le fobie, pur nella loro negativa interpretazione del creato, tendono a dare significati a certi fenomeni e presenze che vanno oltre l’apprezzamento estetico ma ne interpretano i significati ed i messaggi nascosti, e quindi esistenziali.

I pregiudizi diffusi sul nuovo approccio conducono al fraintendimento del concetto base di biofilia e inducono alla trappola del greenwashing – qui declinato nel contesto architettonico e non della green economy-  cioè quella tendenza ad agire in modo superficiale e semplicistico che, senza un’attenta lettura del contesto spaziale, ritiene che il mero inserimento di piante sia sufficiente a migliorarne la qualità.

La solitudine delle piante ornamentali

 Specialmente nella piccola scala di intervento dell’interior design notiamo che le macchie di verde stentano a lasciare un segno profondo nella nostra esperienza spaziale. Pareti verdi incorniciate a mo’ di quadro, oppure piante dalle chiome più rare e stupefacenti, rispondono a layout geometrici e a cure degne di esposizione museale. Il verde viene inserito senza alcuna considerazione della sua potenzialità comunicativa e biologica, e viene ridotto ad elemento di riempimento di angoli dimenticati in fase di progettazione.  

La natura reale diventa un surrogato di se stessa, e per quanto si possa asserire che anche in forma surrogata la natura possa avere effetti rigeneranti, la forzata declassazione di ciò che è autentico (effetto di greenwashing appunto) finisce per togliere credito alle reali potenzialità di questo nuovo paradigma progettuale. Il progetto biofilico quindi viene relegato alla condizione di pseudoscienza, nonostante il progressivo contributo del metodo scientifico, che si sforza di emancipare tale disciplina dalla sua parvenza di semplice indagine fenomenologica.

Extraordinary claims require extraordinary evidence
— Carl Sagan

"Affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie". Questa è una famosa frase di Carl Sagan, astrofisico di fama mondiale, che dà bene il senso della fatica che la ricerca in questo ambito deve affrontare per legittimare il percorso, nonostante i risultati continuano ad esserci.

La pratica del “Bagno nelle foreste” (Shinrin-Yoku”), diffusa in Giappone sin  dal 1982, ritiene altamente benefico il profondo contatto con specifiche foreste. Ad oggi si contano nell’isola ben 62 boschi certificati che sono riconosciuti di provvedere al rilascio di fitocidi, i quali che abbassano la pressione sanguigna, aumentano la produzione di cellule natural killer (NK) e migliorano l'umore. La diffusione di tale pratica fuori dall’Asia è massima in USA. Qui è promossa a rango di vero e proprio protocollo  medico, anche se solo in un ambito ristretto, cioè nei centri di trattamento per traumi militari.

Quali effetti porterà la "The Tree Path" di Sabbioneta? (crediti CRA)

Il vero e definitivo successo di tali pratiche innovative è possibile solo attraverso la comprensione dei legami tra benessere personale, comunitario ed ecologico. Senza la sinergia della struttura fisica, delle emissioni biochimiche e della narrativa sociale, (cosa che si è verificata naturalmente in Giappone) risulta difficile comprendere e diffondere la pratica nella sua complessità, completezza ed efficacia.

Queste sarebbero le ragioni per cui la pandemia è risultata una esperienza fondamentale per legittimare alcuni assiomi secondo i quali la natura non solo determina la riduzione dello stress, restaura l'attenzione, ma è un esempio di come l'esperienza della bellezza sia collegata con la generosità e la gentilezza, legittimando la teoria della scrittrice e filosofa Iris Murdoch, secondo cui questo profondo legame con la natura spiegherebbe il fenomeno per cui è più probabile che le persone salutino lungo i sentieri in natura che in altre parti della città.

 L’insuccesso, o meglio le difficoltà che incontra anche la  green economy e tutto l’apparato a sostegno della transizione energetica, probabilmente sta nell’incompletezza della sua visione.  Questo movimento ha come obiettivo il risparmio delle risorse del pianeta e uno sviluppo economico sostenibile, che assicuri un futuro agli abitanti della terra e in primis all'uomo. Ma qui il concetto di biophilia non è centrale, o perlomeno non lo è ancora.

Prende il sopravvento l’idea di dover domare e gestire le leggi che governano il sistema, piuttosto che far prevalere la presa di coscienza di esserne parte e di dover sottostare alle sue leggi. Il risultato è un senso di frustrazione per un meccanismo rigenerativo che stenta a partire.

Comment

Giusi Ascione

Architetto abilitato dal 1992, LEED Green Associate, con un’esperienza decennale all’estero presso studi di progettazione internazionali (Burt Hill, EMBT/ RMJM, Forum Studio/Clayco). Rientra in Italia nel 2008 per avviare ABidea, dedicato alla progettazione e al retrofit. Nel frattempo presta consulenza presso Proger Spa, NeocogitaSrl, collabora con il GBCItalia. Consulente architetto per spazi rigeneranti e formatore di CFP per architetti, è coinvolta anche in attività di ricerca interdisciplinare centrata sulle relazioni tra il comportamento umano e lo spazio costruito. (EBD - Environmental Psychology)

Strategie "evidence-based" per soluzioni spaziali alternative

I progettisti hanno da decenni capito l'importanza del dato scientifico per dare una validità oggettiva e non arbitraria allo spazio costruito. Abbiamo già parlato di come le neuroscienze abbiano dato, e continuino a dare, un forte contributo al filone dell’evidence-based design.

In questo momento però si sente il bisogno di un ulteriore supporto di dati attendibili, perché l’avvento della recente pandemia rende centrale il concetto di benessere legato alla salute fisica e alla sopravvivenza.

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La Space Syntax è disciplina che nasce come strumento di progettazione in scala urbana, per prevedere e valutare le complesse relazioni tra la società e il tessuto del territorio, e che ultimamente sta dimostrando di essere uno strumento affidabile anche nel campo della progettazione architettonica e degli interni.

Questa nuova disciplina eredita i temi della ricerca di Kevin Lynch appartenenti al secolo scorso, facendosi interprete di quella già dimostrata sua diffidenza nei riguardi di “una astrazione intellettuale della cultura umanistica”, e della “limitazione all’ambito interpretativo o descrittivo e l’incapacità di tradursi in reali suggerimenti di lavoro” (1).
Lynch, infatti, aveva già intuito che l’assetto formale della città è sì un fenomeno estetico, ma soprattutto il risultato di un fenomeno umano e naturale che si riconduce alla sua esperienza percettiva. Ed è proprio sull’analisi sull’esperienza visiva, legata alle connessioni e alle percorrenze dello spazio stesso, che si imposta questa nuova tecnica analitica.

La Space Syntax nasce come approccio di mera lettura dello spazio capace di semplificare la complessità, di discretizzare il caos fenomenologico, e di tradurre in numeri, codici, grafici quelle che sembrerebbero caratteristiche qualitative e descrittive. La disponibilità di dati piuttosto che di valutazioni descrittive e soggettive, è molto rassicurante dal momento che c’è molta esigenza di affidabilità nelle previsioni, nelle valutazioni e decisioni da prendere.

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Per comprendere l’importanza dell’approccio sintattico dello spazio bisogna partire dal postulato che le configurazioni spaziali di un edificio contengono molte più informazioni di quello che siamo abituati a scorgere, e che fattori quali partizioni, corridoi, accessi da un compartimento ad un altro definiscono non solo configurazioni planimetriche e distributive, ma stabiliscono delle relazioni di vantaggio o di svantaggio tra utenza e spazio e rispetto ad un determinato obiettivo. Se l’obiettivo cambia è possibile che vantaggi si trasformino in svantaggi, e viceversa. Cio’ che rimane uguale è il dato che quantifica, che descrive le relazioni e le gerarchie, e che lascia al progettista la scelta di virare verso un tipo di interpretazione o l’altro.

Kerstin Sailer, un’architetta-sociologa ricercatrice alla Bartlett School of Architecture di Londra, che si interessa dei comportamenti umani negli edifici, sottolinea che questo approccio numerico non è parte di una scienza esatta ma è una metodologia che può essere di grande supporto alla progettazione tradizionale, senza sostituirla integralmente.

L’elemento base dell’approccio è l’isovist, un poligono bidimensionale (potrebbe anche essere tridimensionale) la cui area, ottenuta dalle proiezioni di un punto scelto in determinate direzioni, esprime le caratteristiche del punto scelto rispetto alla visibilità, al controllo, alla connettività con il contorno, sia in forma attiva che passiva. I numeri legati alle caratteristiche di questi grafici esprimono tendenze che acquisiscono accezioni negative o positive dipendentemente dagli obiettivi e dalle finalità dell’analisi.

Questo approccio si basa sulla consapevolezza che lo spazio costruito è complesso e profondamente dinamico, e non perché è trasformabile strutturalmente, ma perché cambiano le percezioni rispetto ad una stessa situazione, oppure perché si trasformano i valori di riferimento e le priorità.

Da https://www.slideshare.net/kerstinsailer

Da https://www.slideshare.net/kerstinsailer

La figura adiacente è tratta da una ricerca del 2012 su un edificio destinato al lavoro di ricerca, ed evidenzia come l’inserimento di un attrattore, cioè un distributore del caffè, in un’area emarginata del piano (punto C), sia capace di trasformare i pattern di movimento, e rivitalizzare accessi a stanze altrimenti nascoste. Questo prova che gli occupanti di un edificio seguono un criterio di traffico non solo legato alle funzioni programmate, ma anche alle opportunità indotte da interventi postumi.

Attrattori o repulsori, aperture o barriere, divisioni di flussi o convergenze, sono alcuni criteri di codifica che aiutano a controllare la complessità. Stiamo parlando di un’analisi della struttura spaziale che può analizzare fattori eterogenei a monte di micro dinamiche, e mettere in relazione i drivers psicologici e comportamentali derivanti dall’environmental psychology con gli aspetti più funzionali e tipici dello Space Syntax.

A tale riguardo un esempio importante è lo studio pubblicato nei Proceedings del Space Syntax Symposium nel 2017, che riguarda l’analisi e il confronto tra più layout di coffe bar. In questo studio si incrocia la teoria psicologica del Prospetto-Rifugio - accreditata anche dal design biofilico - con l’attrattore spaziale rappresentato da una bella vista e la preferenza del tipo di seduta .

Si è notato come, in alcune specifiche situazioni, la scelta della posizione che offre maggiore controllo unitamente a una maggiore privacy, risulti prioritaria rispetto alla maggiore piacevolezza del luogo e/o alla comodità del tipo di seduta.

Naturalmente ogni tipologia di edificio definisce le priorità e gli obiettivi dell’analisi e degli interventi.

Per gli ospedali la chiave di lettura fondamentale è il controllo dei flussi per ridurre le probabilità di contagio, e quindi separare i tragitti tra diversi membri dello staff e consentire, simultaneamente, la comunicabilità a distanza e in tempi veloci. Nei tribunali, invece, la vicinanza fisica non è poi tanto un punto critico quanto la possibilità che le fazioni opposte abbiano di comunicare o solo di incrociare gli sguardi.

In questa nuova realtà post-pandemica, che impone anche nei luoghi di lavoro regole progettuali antitetiche a quelle precedenti, quali il distanziamento e le nuove misure di sicurezza, tecniche analitiche basate sui dati, capaci di rivalutare il potenziale sociale e comunicativo di uno spazio e di promuovere un rinnovato senso di fiducia, sono di grande aiuto. I numeri, si sa, sono dati rassicuranti di supporto nelle previsioni e per le decisioni da prendere, quindi disporre di un approccio scientifico, che ci aiuta a anticipare i movimenti, le aspettative ed i comportamenti degli utenti in modo non meramente descrittivo, è di sicuro un grande vantaggio.

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I luoghi lavorativi ora più che mai sono principalmente opportunità di collaborazione e confronto, soprattutto in vista di un coordinamento con il lavoro svolto da casa. L’approccio sintattico progettuale potrebbe essere di grande aiuto per non lasciare che nuovi requisiti per la sicurezza ci riportino indietro al concept rigido della compartimentazione.

Nota1. Tratto dall'introduzione di Gian Carlo GUarda in "L'immagine della città" di Kevin Lynch.